I derelitti
(2015)
Presentazione di Susanna Pelizza
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"Tra espressionismo e senso aulico, la poesia riacquista il suo intento proposizionalista".
'I Derelitti', ennesima prova lirica di un autore già presente nel vasto panorama letterario con le sue molteplici raccolte poetiche, procede seguendo due binari: quello della incisiva espressività linguistica e quello del preziosismo letterario che coincide con un voluto effetto sonoro, propriamente aulico. Entrambi questi due binari fanno scorrere l'intenzionalità propria della lirica di significare, più che di destabilizzare il linguaggio, creando la parola come una spada da una parte (quando acquista valore espressivo) o come una gemma dall'altra (quando acquista valore aulico). In entrambi i casi è una parola forte, così come la intende T Landolfi in Opere (Rizzoli) "La parola può tutto, (...) nulla può sottrarsi al suo impero, ha una capacità fondante, ogni volta di una nuova mitologia". Ogni parola, ogni vocabolo dà forma robusta ad un'immagine così come nel "Trittico dei dolenti": "O brama funesta /fin quando edificherai palazzi / sul sangue dei derelitti". Il primo verso che sembra riecheggiare un passo Omerico, altamente quindi lirico e storico, introduce una forte immagine espressiva che strappa il lettore dalle sue consuetudini, spronandolo più che spingendolo a prendere visione di un mondo: quello dei Derelitti, che non sono i dannati Danteschi (anche se è evidente il richiamo in alcuni passi a metafore Dantesche) ma in senso generale, gli uomini, poiché il loro travaglio è un travaglio umano, il travaglio di una umanità perduta. Schierato dalla parte dei sofferenti, Vito Sorrenti propone una poesia la cui visionarietà sembra richiamare l'angoscia di Munch, incide la spada nell'espressività di immagini dove la sofferenza esplode senza forme di compromesso linguistico, così come nella poesia che dà il titolo all'opera: "Noi, lo zoccolo duro della miseria / abbiamo il volto degli uomini di colore / e gli occhi di chi spera che al buio subentri l'aurora. / E andiamo incontro al futuro rannicchiati sui gommoni / come cani senza padroni e senza cucce /per spargere gocce d'indicibile pena / su distese di agrumi, fra mascelle di iene".
La poesia che procede attraverso strofe iterative, acquista un senso sempre di più, espressivo attraverso un'incisività visionaria che ha come intento quello di strappare il velo all'artificio retorico e a quello più complesso del sociale, in sostanza al vuoto delle convenzioni. La maschera bella, con cui normalmente gli uomini cercano di allontanare le proprie angosce e delle verità inquietanti, è solo un artificio, un velo pronto a rompersi in qualsiasi momento. E non sono solo gli artifici sociali che affondano la spada sui Derelitti, ma anche gli artifici linguistici, che mascherano un sapere velleitario, quelli che nascondono il vuoto, che non propongono, che evidenziano la propria eleganza stilistica nei vuoti effetti retorici di sempre, che rinunciano a proporre uno sguardo significativo sulla realtà presente. La poesia, invece, per Vito Sorrenti ha un intento proposizionalista: va al di là degli effetti allitteranti più complessi puntando sull' "espressionismo della nuda parola", ancora carica e densa di senso, facendo vedere tanto quanto un quadro potrebbe esprimere. La raffinata Lectio dei classici è perfettamente rivissuta dentro la struttura originale e personale di questo autore. Al liquido di contrasto tipicamente post-moderno si sostituisce l'equilibrio aulico del rapporto comparativo armonico delle cellule-parole dentro la riqualificazione omogenea di un tessuto creativo che non ammette compromessi, né interferisce con il post-moderno. In questa operazione significativa acquista valenza l'assonanza, la rima, il significato e il significante, quando ciò che accende la tradizionale orchestrazione sonora, dentro una polifonicità (come nei trittici) inequivocabile e stilisticamente irreversibile.