I derelitti
(2015)
Postfazione di Angelo Manitta
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La vita umana si distingue da quella animale per la parola e il pensiero, ma si può anche dire che gli uomini si distinguono dagli altri esseri viventi per la capacità di concepire la poesia. La poesia non è altro che la riflessione dell'uomo sulla propria esistenza, sul proprio essere, sul proprio modo di pensare e di soffrire, di provare gioia ed emozioni. Ma la poesia non è solo astratta concettualità, è anche arte. L'arte sta nel concepire il pensiero attraverso una forma elaborata, un'espressività musicale, una visualità comunicata attraverso la disposizione tattica e paratattica della parola, oltre che attraverso gli spazi lasciati vuoti, quasi momento di pausa e di riflessione per l'autore e per il lettore. Tutto questo è la poesia di Vito Sorrenti, la quale percorre la novità contemporanea sulla scia di fine Novecento e inizi Duemila, non solo sotto l'aspetto temporale, ma soprattutto concettuale. Infatti nell'ultimo ventennio, la poesia italiana (quella degna di tale nome) si è modificata, evolvendosi dall'ermetismo ed esistenzialismo ad un post ermetismo, che io definirei appunto speculativo e coscienziale, pur nell'ambito del recupero di forme metriche nuove, ma soprattutto disposizioni strofiche originali. In questo senso la ricerca poetica di Vito Sorrenti si proietta proprio verso il futuro, verso una poesia innovativa non solo sotto l'aspetto lirico, ma anche sotto l'aspetto formale. E tanti sono gli esempi che si possono prendere a parametro in questa silloge, anche se mi piace richiamare l'attenzione soprattutto sulle liriche dal titolo "Trittico" (Trittico del dolore, Trittico dello strazio, Trittico dei dolenti, Trittico dei disastri, Trittico della libertà, ...). Il tema fondamentale che percorre l'intera raccolta lo si può fissare, già da questi pochi titoli, nella teoria del dolore, della sofferenza e dell'angoscia, che è sì esistenziale, ma soprattutto individuale, sociale e globale. «La vita oscilla come un pendolo, di qua e di là, tra il dolore e la noia, che sono in realtà i suoi veri elementi costitutivi» mi viene di affermare con Arthur Schopenhauer.
E proprio questo pendolo, che oscilla tra il dolore e la noia, ma diremmo anche tra la felicità e la ricerca della felicità, tra la libertà e la ricerca della libertà, costituisce quel parametro indicatore della poesia di Vito Sorrenti. Il pendolo non oscilla per incertezza, ma per una interiore certezza che è il calcolo del tempo, la volontà di voler capire l'esistenza nella successione degli eventi, da cui scaturiscono lo strazio, il dolore, le tragiche sequenze e i disastri, come si legge nel Trittico dei dolenti: «Un mese dopo l'altro / le fiere degli affari / devastano anche i nidi», oppure: «Un anno dopo l'altro / la iena affarista / addenta vene esauste», e «Ancora / teneri virgulti / uncinati dagli schiavisti» per una conclusione ideale: «E l'anima grida / l'impietrito dolore / del cuore trafitto». La socialità coscienziosa del dolore diventa rapporto con gli altri, analisi di una problematica estremamente attuale, non personale ma sociale, non filosofica ma concreta. E l'ispirazione certo proviene da tanti fatti di cronaca odierni, come si può leggere nella lirica I derelitti: «Noi, i derelitti, sparsi e dispersi in gelidi anfratti / come sbandati di un esercito disfatto / incliniamo la testa al giogo schiavista / come bocci di un vaso senz'acqua / e attraversiamo la notte disseminata di accette / col volto di chi allatta alle mammelle del dolore / e il cuore di chi annaspa nel mare della miseria». Di fronte a questo mare di dolore e di sofferenza viene subito da chiedersi: ma l'uomo è solo? ha la capacità di sopportare questo pesante fardello? La risposta viene data dal Poeta nella lirica Amebeo per le vite oscure. L'Essere supremo, Dio, è il punto di riferimento della sofferenza, è l'unico che può dare una risposta, è l'unico cui ci si può rivolgere, anche con una semplice domanda: «O Signore, non senti i lamenti / che salgono al cielo? [.. .] O Padre nostro, non senti il tumulto / del cuore che annaspa fra gelidi flutti? [.. .] O Numi, ancora afflizione desolazione e pena / sul volto dell'uomo senza diritti?».