|
Introduzione di Daniela MonrealeVito Sorrenti: « Gocce d'amore »Ristampa 2017 - Amazon
|
INTRODUZIONE
Tutta la produzione poetica di Vito Sorrenti (composta da nove raccolte, sei delle quali frutto di vincite in premi letterari) si caratterizza per una costanza di temi e di schemi formali che nel tempo hanno apportato una ben chiara distinzione della sua poetica, con tratti stilistici e scelte di contenuto ben riconoscibili al lettore. Molto apprezzabile dunque la riproposizione di questa sua prima raccolta di poesia, Gocce d’amore, pubblicata nel 1994 presso le edizioni Cultura Duemila di Ragusa, che già presenta in nuce gli argomenti e le soluzioni linguistiche che verranno poi sviluppati nelle successiva raccolte, di cui “Amebeo per Euridice”, pubblicata dalle edizioni A.G.A.R. nel 2009, e “I derelitti”, pubblicata per i tipi de “Il Convivio” nel 2014, rappresentano a mio parere i vertici della poesia di Sorrenti. Poesia, la sua, che, nella sintesi stilistica della produzione fin qui raggiunta, si contraddistingue per un saldo impianto classico, che rimanda spesso a moduli letterari della latinità (come per gli “amebei”) e che predilige una struttura dialogica, a più voci (come nei “trittici”), sopratutto per i componimenti di aperta denuncia morale e sociale, di cui vuole rafforzare la dimensione corale e la destinazione collettiva. Per le poesie più intimiste, invece, in cui l’Io lirico si abbandona allo scandaglio della propria interiorità, Sorrenti utilizza una versificazione più raccolta, quasi monologante. Laddove infatti predomina un verso accorato, magmatico e dilaniante, per le poesie di impegno civile (in un efficace contrasto tra misura classica dello schema e taglio espressionistico lessicale), nelle poesie dedicate all’amore e agli affetti il linguaggio diventa invece colloquiale, con tonalità più dimesse, ma ugualmente tessute di grande intensità lirica. Per quanto riguarda i temi della poetica di Sorrenti, essi hanno sempre tracciato un orizzonte molto vasto, che tocca i versanti contrapposti della Storia e dell’ordinario, della riflessione filosofica e dell’osservazione del quotidiano. Vito è un poeta essenzialmente rivolto agli altri, al mondo, alla natura, e questa sua attenzione al “fuori da sé” è vivificata inoltre da un’empatia e da una robusta fede cristiana, per cui lo sdegno e l’esacerbata sensibilità provati di fronte al dolore degli uomini, e che emergono in maniera dilagante dalle sue poesie, sono l’espressione conclamata non tanto di una semplice denuncia morale di fronte a tragedie collettive, quanto di una divorante passione civile e spirituale. L’autore, cioè, non si limita a “registrare” i fatti di cronaca, a descriverli, pur nel loro carico straziante di male e di sofferenza, ma entra nel dramma del suo prossimo con bruciante partecipazione, fino a rendere quasi tangibile un’esperienza in fondo intellettuale come quella della scrittura, renderla cioè esperienza viscerale, di dolente condivisione. Oltre a questa attenzione per lo spazio vasto e tormentato dell’umanità sopraffatta da ingiustizie, guerre, violenze, oppressioni, sempre designate con riferimenti precisi di fatti e persone, Sorrenti rivolge la sua poesia anche agli affetti personali, alla dimensione amorosa, quest’ultima raccontata sopratutto nella sua polarità di presenza-assenza. Anche in questo versante più “domestico” della sua poesia il nostro autore, sebbene in un dettato più sobrio e più conciso, sostanzia la sua scrittura di una decisa reattività ai segnali esterni, che lo porta a oscillare tra meditazione riflessiva e abbandono contemplativo. Ma è un’incoercibile, quanto solitamente addolcita malinconia, il sentimento sicuramente più presente e più distintivo di tutta la produzione poetica di Vito Sorrenti. Tornando alla presente raccolta, Gocce d’amore mostra una scrittura ancora germinale, a tratti acerba, ma comunque sempre condotta con una partecipazione emotiva che ne catalizza la versificazione. La sua direzione istintiva, insieme a un’elevata tensione morale, gettano inoltre le basi per quell’elaborazione successiva che nelle opere mature definirà linguaggio e temi della poesia di Sorrenti, nei tratti più sopra esaminati. Ma intanto questa prima stagione di versi riveste importanza, non solo per il suo autonomo valore, ma anche come documento poetico di un intenso itinerario intellettuale e umano. Fin dalle prime poesie, c’è un frequente ricorso alle domande, agli interrogativi esistenziali. I contenuti di queste domande vengono a volte personificati, così avviene che la periferia degradata o il destino diventino interlocutori muti per una richiesta accorata di senso. Anche il paesaggio naturale, altro elemento costante nella poetica di Sorrenti, assume qui una dimensione vivente, di confidente del proprio tormento interiore, oppure diventa specchio su cui riflettere i propri stati d’animo. Le metafore naturalistiche abbondano, e su tutte risalta l’archetipo della Luce, “luce” in quanto conoscenza ma sopratutto in quanto salvezza spirituale, “luce” naturale e divina che abbaglia di speranza e di gioia, ma che rivela la sua potenza anche nella sua specularità di “non-luce”, datrice di ombra che raggela il cuore umano (Una fredda luce). Altre immagini tratte dalla natura (l’alba, il tramonto, la sabbia, la sorgente, la nebbia, il mare in tempesta, il vento) popolano questi versi, in cui gli elementi naturali diventano icone del proprio movimento interiore, che si divide tra malinconia e ammirata contemplazione. La malinconia di Sorrenti sconfina però sovente nello struggimento, dovuto all’impotente assistere alla fine dei propri sogni e di un mondo innocente che non potrà mai più ritornare (Nulla riappare). L’Eden perduto di Sorrenti è infatti una dimensione aurorale intessuta di ingenuità e di stupore, che il male dell’uomo e della Storia poi annientano. L’incanto originario viene dunque ritrovato in una natura “amica”, che fa da sponda al dolore umano ma che suggerisce anche una speranza di rinnovamento, nella sua promessa generativa (Germogli). Altro tema frequente di questa raccolta, sostenuto non a caso dal suo titolo, è il sentimento amoroso, intriso di languore, di attitudine sognante, di intenso desiderio per la persona amata, che è tratteggiata come lontana, fisicamente assente. L’amore è dunque vissuto qui come inquieto anelito al cospetto della mancanza (Quando non ci sei). Persino gli attimi di beatitudine vissuti con l’amata rivelano la loro fugacità, la loro precarietà, che assurge poi a generale precarietà umana (Il tempo), ulteriore elemento cruciale della riflessione di Vito Sorrenti, che guarda al destino e alla fragilità degli uomini come “pietra d’inciampo” per una positiva visione delle cose. Il pessimismo antropologico del nostro poeta si estende poi all’aridità della dimensione urbana (Ragnatele del 2000) - che allontana gli uomini, che ne svuota le relazioni - vista come causa principale della solitudine dell’uomo moderno. C’è dunque, in questa fondamentale precarietà umana, l’esatta convinzione dell’impossibilità del permanere della gioia (Umana esistenza). Da cui deriva un senso di nostalgia perenne, per quel che di bello affiora tra i rari interstizi che interrompono la continuità del male. Questi attimi di gioia sono paragonati a un lampo, a qualcosa che accade improvvisamente e che folgora, ma che altrettanto improvvisamente svanisce subito. Così la riflessione di Sorrenti si sposta sulla ricerca del carpe diem, nella sua accezione più positiva, oraziana: non tanto, cioè, come consumistico “mordi e fuggi”, ma come piena disponibilità ad accogliere ed onorare i momenti più alti e più belli che la vita può offrirci (Conflittualità). Felicità dunque non come “stato” ma come “luce” folgorante e breve (Come un lampo), e che pur nella sua fugacità viene vista come indispensabile per ravvivare l’itinerario esistenziale e renderlo percorribile. In questa poesia dominata dalla malinconia e dal rimpianto (Aspettando il domani), non manca il dato della tradizione, rinvenibile nelle chiare citazioni da Leopardi (Alla luna) e dall’Ermetismo (E dovrei, che suggerisce “Alle fronde dei salici” di Quasimodo, oppure L’inevitabile che riecheggia “Soldati” di Ungaretti, oppure ancora la “divina indifferenza” di Goccia a goccia - una delle più belle poesie della raccolta - che richiama “Spesso il male di vivere” di Montale), le cui suggestioni sono riscontrabili anche per la brevità di alcune liriche (L’attesa, Come un lampo, L’inevitabile, Solitudine, Uomini, Polemica, Umana esistenza), che disegnano una poesia essenziale, racchiusa, al contrario di altre che si dispiegano in un canto che spesso sfocia nel dialogo interpersonale, oppure in una versificazione “corale” che verrà poi sviluppata nelle successive raccolte e che diventerà uno dei principali modelli formali adottati da Sorrenti per le tematiche etiche e sociali (Trittico per Sarajevo). Nella generale “loquacità” delle voci, personale e collettiva, che caratterizzano le poesie di questa raccolta (e di tutta la produzione poetica di Vito Sorrenti), anche le cose inanimate sembrano possedere una loro intima “voce”, una vibrazione nascosta, non visibile ma palpabile. Sembra quasi che il nostro poeta voglia chiedersi se l’enigma della vita non abbia solo a che fare con le domande filosofiche sul destino dell’uomo, ma anche con il mistero della natura delle cose, della loro segreta vitalità. Al di là di qualsivoglia possibilità animistica, è lo spettacolo del germogliare che di fatto potrebbe vincere pessimismo e malinconie. Allora, si vorrebbe concludere, riprendendo una nota metafora di Montale: che per Sorrenti sia forse questo il “varco” per poter uscire dall’angustia del male? Daniela Monreale |
Prefazione del libro |
Questa collana di poesia, conosciuta in Italia e all'estero, ospita nelle sue pagine poeti significativi che hanno lasciato, o desiderano lasciare, una traccia visibile e indicativa nel percorso poetico italiano.
L'esperienza che accomuna questi poeti consiste soprattutto nel tentativo, in parte ideale, in parte tangibile e verificabile, di trasformare l'esperienza poetica nella sua metafisica nudità, in una esperienza di comunicazione umana e civile, un nuovo umanesimo insomma, dove il nucleo emozionale dell'ispirazione letteraria possa cristallizzarsi e perpetuare nel sogno di ogni lettore, per rendere giustizia alla "vera poesia" e realizzare nella sua totalità il destino della poesia stessa: quello d'incontrarsi con gli altri. Fuori da questo ordine di cose la poesia non ha motivo di esistere. |
Recensione di Alda FortiniVito Sorrenti: « Gocce d'amore » Cultura Duemila Ed., 1994 - pp. 56 - L. 15.000. |
Si accompagna nella lettura dei versi di V. Sorrenti una nota di sensibilità verso il sentimento e trascina la visione della poesia in un dialogo di diverse sensazioni. La linearità della esposizione è chiara e sensibile e preme in una serie di scelte complete e costruite. Il campo che lui trasmette è vario e si distende nelle immagini quotidiane. Pone una visione del sapere in un insieme di temi che si allineano lungo una nota di figure descritte e simboliche e capta le modulazioni diverse in un cerchio che va oltre il confine della narrazione. Paesaggi brevi e concisi sono anche i suoi temi ma si delineano quasi in un impulso autonomo che divergono dalla realtà che pone diverse ragioni. Frantumare le emozioni in minuscole parti è rievocare fatti di una memoria che non si vuole celare o dimenticare e coinvolge in una stretta affetti e annotazioni nuove. Divergere il discorso è impossibile e scruta tratti di evasione in un contesto breve e incisivo. Il testo è ben preciso e capta melodie in un silenzioso spazio di tempo. Concretare in brevi righe il colloquio è acuto nella ricerca poi di quadri da esporre sensibili e ampi. Quadri di emozioni che si allacciano anche in una diffusa malinconia e tristezza e sfociano comunque in una visione serena e sincera. La solitudine che talvolta è presente qua e là non disturba e lascia spazio a pensieri nuovi dove il lettore è trascinato a seguire. Creazioni varie e dolci sono in questa poesia dai tocchi semplici e limpidi che si distolgono da uno schema complesso e pongono un nuovo senso di continuità taciuta. « Sgorga limpida e fresca / L'acqua dalla sorgente » « ... E vennero introdotte le mani / nel gravido ventre » « Gioia d'un istante / Abbaglia la mia mente » « Confuse impronte sulla sabbia / con il vento in movimento ». « Immerso nel silenzio, / Rapito contemplo l'incanto ».
Alda Fortini |