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"CANTO D'AMICIZIA E D'AMORE" |
Centro d'Arte Coreografica "Aglaia" Premio Artistico Letterario "Nicola Mirto" 2007 |
"CANTO D'AMICIZIA E D'AMORE" di Vito Sorrenti
Il percorso creativo della nobile figura di Nicola Mirto si salda all'esaltazione della bella Città di Ciullo, culla di Poesia e giacimento di Cultura. Dott. Gregorio Napoli |
Centro d'Arte Coreografica "Aglaia" Premio Artistico Letterario "Nicola Mirto" 2007 |
"CANTO D'AMICIZIA E D'AMORE" di Vito Sorrenti
"I giusti non moriranno, / i giusti vivranno / nella luce dell'amore./ E tu, Nicola Mirto, giammai sarai dimenticato, / vivrai per sempre nel canto dei poeti / e nella vita che accima alla luce dalle tue nobili radici". Eleganza di stile, ricchezza lessicale, sincerità di sentimento sono le componenti che rendono speciale la emozionata ed emozionante lirica di Vito Sorrenti, dedicata alla memoria di Nicola Mirto, scomparso prematuramente nell'ormai lontano 1986. "Arde il ricordo / al fuoco dell'arte / e rilucono gli occhi / di limpido affetto", di quell'intenso, forte, profondo affiato d'amore con il quale l'illustre uomo politico ha riscaldato l'animo e riempito la vita della sua famiglia e delle innumerevoli persone che le sono state a fianco. E proprio questo stesso profondo affiato d'amore sfida e vince la battaglia con il tempo, ladro delle memorie e dei sentimenti non autentici e arriva al cuore dei poeti, i quali ogni anno rivedono Nicola Mirto "nella cornice bella della città di Ciullo" con il suo "sorriso", pronto ad "illuminare volti" e "stringere mani". "Lacerante è lo strappo che strappa a noi tutti / radici d'affetto" - riferisce l'autore nella poesia - ma l'importante è serbare gelosamente gli insegnamenti, cercare di "seguire il solco / tracciato dai giusti" e mantenere vivo il ricordo, che - vorrei aggiungere - permane in tutto il suo splendore grazie, anche, a stupende liriche come "Canto d'amicizia e d'amore", prezioso dono dell'insigne poeta Sorrenti. Poetessa Micòl Galbo |
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"CHE DIRANNO ALLA MADRE" |
PREMIO DI POESIA "LORELLA SANTONE"
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CHE DIRANNO ALLA MADRE di Vito Sorrenti
Il dolore della madre per la morte del figlio invita il poeta alla riflessione sullo strazio che un simile evento provoca negli esseri umani. La religione, la letteratura e la contemplazione stessa della natura hanno tentato di lenire e di spiegare fatti che oltrepassano la capacità umana di capire. Ma la madre non potrà mai accettare né vorrà mai capire le loro parole di conforto, seppur belle e profonde. Dolore e linguaggio sono due unità di misura inconciliabili. |
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"COMPIANTO" |
Centro d'Arte Coreografica "Aglaia" Premio Artistico Letterario "Nicola Mirto" 2009 |
"COMPIANTO" di Vito Sorrenti
Il Poeta innesta nei versi un dialogo complesso con il Sole, il Mare e la Tempesta, che vengono colti al di là del loro aspetto fenomenico e personificati perché possano intervenire con un afflato di "humanitas" sullo strazio delle morti bianche. Rivolgendosi al Tempo lo invita a fermarsi "alle soglie del lutto" e a non procedere inesorabilmente sulla scia di un "panta rei", che mai consola chi è investito dalla perdita di un caro. Una repubblica fondata sul lavoro (che nel "Candido" di Voltaire veniva sentito come unico Valore in grado di dar pace all'animo irrequieto dell'uomo) viene strozzata dal paradosso, raccogliendo in seno le morti causate dal lavoro stesso, e finisce per costituire lo scenario dello svanire di ogni "ubi consistam". Il lavoro dovrebbe dar vita ma la toglie, sicché al sole non resta che "occultarsi", rovesciando la propria naturale funzione e assecondando la "contraddizione in termini" del reale. Il desiderio di una pioggia salvifica e catartica diventa pervasivo e scatena il turbinio dell'indignazione nei confronti "delle avide iene" che "ancora si nutrono di sangue umano". L'Autore manifesta una grande sensibilità nei confronti dei temi di scottante attualità e prima ancora nei confronti del dolore degli uomini, e non solo perché, come rese noto Terenzio, l'uomo non può sentire come estraneo ciò che è anch'esso umano ma perché Sorrenti ha l'animo del Poeta che non può rassegnarsi ai fotogrammi televisivi, i quali imprigionano nello schermo la disgrazia e la scacciano fuori dalle nostre case come una rassicurante estraneità che mai ci tocca dentro. Il nostro Poeta patisce l'alterità inassimilabile della morte, anche se lontana ed apparentemente impersonale, stendendo versi di denuncia che ovunque risuonano come le "campane dolenti" di "Compianto". (Dott.ssa Edvige Galbo) |
Centro d'Arte Coreografica "Aglaia" Premio Artistico Letterario "Nicola Mirto" 2009 |
"COMPIANTO" di Vito Sorrenti
Interessante amalgama fra immagine, "eco" sonora, sdegno civile. Dott. Gregorio Napoli |
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"CORALE DELL'ASTIO E DEL DOLORE" |
Centro d'Arte Coreografica "Aglaia" Premio Artistico Letterario "Nicola Mirto" 2003
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"CORALE DELL'ASTIO E DEL DOLORE" di Vito Sorrenti
In questa lirica, parole-chiave: amore e pace, sono contrappuntate da altre parole-chiave: fuoco e deserto, distruzioni e lacerazioni, disumana ferocia, odio e scempio, lutto e astio. Germogli assiderati, boccioli recisi, rose sfiorite, orti succubi di rovi, pallidi olivi predati dai venti, profilano - a occhi dolenti - stanchezze di lotte, orrori, barbarie, macerie, e assenza di pace. Ritmati quasi in coro tragico greco, i versi gridano l'impegno etico-sociale-religioso dell'Autore. Prof. Carlo Cataldo |
Centro d'Arte Coreografica "Aglaia" Premio Artistico Letterario "Nicola Mirto" 2003
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"CORALE DELL'ASTIO E DEL DOLORE" di Vito Sorrenti
Compito del Poeta, diceva, Puskin, è: "non per le agitazioni della vita, non per la cupidigia e la battaglia, noi siamo nati per l'ispirazione, per i dolci suoni e le preghiere". In questa magnifica lirica si avverte un movimento drammatico di forte temperamento che sprigiona, in tutta la sua forza, dall'animo del Poeta, che certo, non è facile ad abbandoni lirici dettati dalla sola pura estetica ed esteriorità verbale, né persegue quei cedimenti romantici e talvolta crepuscolari che esprimono un dolore ed una amarezza interiore senza risoluzione. Il poeta domina perfettamente i suoi sentimenti, e l'atmosfera che si respira è piena di turbamento, mai però "minaccioso e concitato". La maestria tecnica è piena di virtuosismo, ma il contenuto, l'espressività, l'incisività del messaggio non hanno perso quella "austerità di coscienza artistica" (Lelli). Sulle spalle del poeta c'è il travaglio di una esistenza che si fa strada, ogni giorno, là, "sugli assolati declivi disseminati di rovi", laddove, "il funesto delirio dispiega le ali e più nessuno grida parole d'amore". Quanta solitudine si avverte in questi versi iniziali, quanta angoscia nell'animo del Poeta, quando, volgendo lo sguardo verso le miserie umane, trova nel volto dell'uomo l'immagine di Pilato che "abbandona al supplizio i fautori della pace"; ora il corale si fa più mesto e lascia all'assolo un grido di dolore che fa da controcanto a tutta la lirica, da "basso ostinato" quando irrompe in tutta la sua vigorosa forza, sul corale con questi versi: "E il cuore è morto! Il cuore é morto! Il cuore è morto!". È solitudine, quella del poeta, una profonda, lacerante "solitudine che canta sulla pietra che mi sta sul cuore" (Gunther), mentre di fronte ai suoi occhi scorrono le immagini della storia, il passato e il presente, che contemplano le stesse miserie, gli stessi lutti, lo stesso dolore, la morte! Ora, il Poeta, sconvolto da quei "lampi di gelida luce", si unisce al mesto canto del Salmo 136 (Sui fiumi di Babilonia), quando supplica l'Umanità di non dimenticare gli oltraggi subiti, il dolore dell'esilio in terra straniera: "Non dimenticate, o Figli, le nostre cetre appese ai salici piangenti in Terra di Babilonia, non dimenticate le deportazioni, i campi di sterminio, le fosse comuni, non dimenticate la pena del sangue arso, sparso e disperso dai morsi della disumana ferocia". Il poeta, pellegrino nella storia della tragedia e del dolore umano, "sente per il dolore della folla miserabile, la suprema, l'ineffabile maternità dell'amore" (Palacios), trascinato nelle paludi "dei peggiori barbarismi", nelle più feroci e disumane aberrazioni perpetrate dalle varie dittature, dalla follia dell'uomo mai sazio di potere, ma che ha saziato l'umanità di incubi e di sofferenze indicibili: "Orrido lutto ti abbiamo bevuto fino all'ultima goccia, gelido astio, il dolore dei giusti chiede giustizia..." Questi versi corali rappresentano, a mio avviso, il culmine di tutta la serie di sciagurate azioni, di misfatti, da qui, in un moto ascensionale e corale, il poeta guarda al dolore della Chiesa di Palestina, "ai fiori in boccio orridamente recisi, alle rose sfiorite fra le case distrutte" ....a "quegli occhi dolenti inariditi dal pianto..." a quel "seme di mirto caduto sulla pietra". Il poeta non traligna di fronte ai doveri della sua missione, anche se il suo cuore, unito al cuore dell'Umanità sofferente, "è stanco di lottare e soffrire (...) è stanco di barbarie e macerie (....) è stanco di atroci ferite...." Il Poeta è carico di dolore, ed emerge la sua voce solista dal coro: "O Luce, è stanco il cuore di non trovare pace" . Lo spirito del Poeta cerca invano, nel mondo, la Luce, ma scorge soltanto "Lampi di gelida luce", poiché l'umanità è ancora "avida di lutto" e constata con amarezza che non è lì che deve cercare la Luce; innalzandosi al di sopra delle miserie umane, trova il senso più profondo della vita, della propria esistenza e subito tornano al suo cuore le parole di Gesù sulla Croce: "Padre perdonali perché non sanno quello che fanno". Il suo spirito, ora libero da ogni sofferenza e da ogni astio, può raggiungere finalmente "la Luce eternamente folgorante: Dio" (Giuliani) Prof. Adriano Angelo Gennai |
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"CORALE PER I LUOGHI DOLENTI" |
7^ EDIZIONE BIENNALE
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"Corale per i luoghi dolenti" di Vito Sorrenti
La particolare impaginazione dei versi recupera il frammentismo caratteristico di molta poesia contemporanea e al tempo stesso fornisce l' idea della frantumazione della esistenza in un rapporto simbolico tra la forma linguistica e il pensiero riflesso, tra l'organizzazione delle parole e il referente oggettivo. Questa procedura consente il recupero di tematiche diverse con una contemplazione a tutto tondo delle qualità dell' esistenza nella realtà contemporanea. Degna di particolare considerazione è poi la qualità del lessico estremamente efficace e comunicativo nella pregnante intensità dei singoli termini. Il Presidente della Giuria Bruno Rosada |
Centro d'Arte Coreografica "Aglaia" Premio Artistico Letterario "Nicola Mirto"
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"CORALE PER I LUOGHI DOLENTI" di Vito Sorrenti
La rigorosa razionalità delle parti di questa lirica, in un tutto armonico dettato da un sapiente contrappunto, è bilanciata, per così dire, dall'intercalare di "versi antifonali" che riflettono l'organicità di questa stupenda Poesia, il suo tessuto melodico e armonico, che si stendono, in un crescendo di intensità espressiva, in uno spazio solenne e drammatico allo stesso tempo. La "Lamentazione" iniziale, che è quasi sempre un canto corale monodico, ci introduce nel clima dolente e drammatico di questo Canto Poetico, anzi ne è, in un certo senso, il motivo- chiave che fa da controcanto a questa tesa drammaticità, che si avverte, in tutta la sua forza evocativa, fin dai primi versi: "nasce abortita la speranza di pace / fra gli atroci dirupi ove regnano rapaci", a cui fanno eco, in un gioco contrappuntistico, questi altri versi: "E la vita stremata si protende alla luce / fra unghiate feroci e morsi di lupi"', dove giocano un ruolo fondamentale, "speranza-Luce", "rapaci-Morsi di lupi", in cui, salvo l'elemento cantabile che fa capo alla coralità d'insieme (la Lamentazione), si evidenzia, altresì, "l'elemento pulsativo" che sta alla base dei versi, di ogni parola, pronunciati con un crescendo ritmico che rimanda ad un tessuto poetico e sonoro compatto e di forte intensità emotiva. A queste due prime "strofe", segue l'"Antifona centrale", anch'essa affidata ad un coro, e cantata a mo' di lamentazione, sullo stile dei canti ebraici, (o delle lamentazioni del Venerdì Santo ancora in uso in molti Paesi del Sud): "E l'urlo straziato s'inabissa ignoto / nel silenzio di pietra del cuore indurito". In questo "spazio lirico" le vibrazioni emotive interiori non procedono secondo un principio crono-temporale, ossia per successioni, non si tratta di un attimo dopo l'altro, una variabile dopo l'altra, ma piuttosto di una variabile con l'altra, di un attimo con l'altro attimo, in coordinamento compositivo e narrativo uniforme, dettato da precisi e inconfondibili stilemi, è quello che, in altri termini, viene definito "il tempo della topologia"; in questo modo il poeta dà voce a tutte le parti corali e soliste mantenendo un sottofondo corale incalzante, ma sempre pianissimo, in un unicum organico ben coordinato e compatto. Non c'è separazione tra l'una e l'altra voce, tra un verso e l'altro, poiché sono uniti da quella "lamentazione di fondo che si avverte in tutta la lirica, cantata o meno che sia. L'autore dà prova di conoscere molto bene lo "strumento linguistico" poetico e letterario, con una padronanza non comune del lessico, riuscendo così a dare alla parola una sua peculiare forza interna, una musicalità perfettamente percepibile, che emerge in modo particolare nella lettura verbale di questa lirica. In questo modo, il linguaggio poetico del nostro artista assume una dimensionalità "metafisica" che rimanda a sentimenti interiori ed emozioni che ci sconvolgono, che ci lasciano pieni di stupore, e che allo stesso tempo ci interrogano sul piano di una feconda meditazione esistenziale. L'itinerario poetico, dunque, segue il preciso schema della "funzione drammatica", che, come ho detto, ha il suo principio nella "Lamentazione iniziale", già in uso nei Testi Biblici dei Profeti (cfr. Le Lamentazioni di Geremia), o dei Salmi (vedasi: "sui fiumi di Babilonia"); la scelta non è a caso, il "corale dei luoghi dolenti" è una "Lamentazione processionale", in questo caso, all'interno del dramma umano, in un crescendo drammatico sostenuto dalla forza ritmica della parola, che, di verso in verso, pone accenti forti che sottolineano l'intensità interiore del sentimento poetico, di fronte allo scorrere di immagini piene di "orrore, miseria, sgomento", dove ormai "nessun grembo materno germina amore ove il nero stivale calpesta anche i fiori", di fronte a tanto sconvolgimento ogni "speranza di pace" "nasce abortita" e si "inabissa nell'ignoto, / nel silenzio di pietra del cuore indurito". In questa dimensione crudamente realistica, "luce" e "speranza" si trasformano in una realtà statica, inerziale, in una notte senza più alba: "O notte, O nera notte del cuore...", in una lamentazione che non trova conforto, in un cuore che non trova riposo. Il Canto monodico del poeta, sostenuto coralmente da quelle lamentazioni di fondo, si trasforma adesso in un Canto a più voci, una "Poetica polifonica", ma lo spazio, in cui tale Canto si sviluppa, è fitto di lutti, e il grido di chi soffre si tramuta in "sangue purpureo" e "ancora s'affioca la voce / dei vinti e svapora dolente". Qui non siamo nella "poesia del bello stile", di memoria barocca e neoclassica, qui, le voci, il pianto, le lamentazioni hanno un volto e una storia; qui non ci troviamo nemmeno sotto le "luci della ribalta", su un palcoscenico teatrale dove ognuno recita la propria parte, qui si intrecciano stati d'animo, vicende drammatiche, lutti, sofferenze, miseria, popoli oppressi da regimi dittatoriali, guerre, qui "erompe" — in tutta la sua tragicità - "lo strazio / e il grido di aiuto delle anime dilaniate". In questo senso possiamo dire che gioca un ruolo fondamentale la dialettica antitetica di speranza e disperazione, luce e tenebre, vittoria e sconfitta, oppressi ed oppressori, vita e morte. Sia chiaro, non si ravvisa in questi versi una "autofagia spirituale", un animo umbratile del poeta, non è la sua speranza ad essere messa in discussione, poiché questo rifletterebbe un pessimismo ed una angoscia connaturale al suo spirito, cosa che non è; il Poeta esprime, seppur in modo compartecipato, una umanità che va in frantumi e descrive con parole forti, senza "ermetiche chiusure", il dato realistico, quello che è sotto gli occhi di tutti, che ci allontana, nolenti o volenti, dallo sperare in una pace feconda, vera e duratura. Dunque nessun nichilismo, nessuna "attesa deviata", solo il canto di un poeta pellegrino, come Dante, nell'Inferno di una umanità senza più valori, senza più diritto; pellegrino attraverso le mille ulcerazioni dell'animo umano, per aprire un varco ancora possibile che coinvolga l'umanità in una riflessione, in una meditazione, non opprimente e oscura, ma carica di messaggi autentici, di nuovi valori, invitando l'uomo a riflettere e a non dimenticare i mali della storia, per costruire un mondo migliore dove tornino ad essere una esigenza ontologica la Speranza, la Luce, le uniche che possono essere fondamento di una "pace creativa" (Mauriac), in un assunto storico che non sia la "via del Nulla", ma la "via della Verità". È dunque a loro che il poeta si rivolge prima di tutto, a quei "seminatori di lutto" che il poeta definisce, senza mezzi termini, "stirpe infausta": "a che questi rostri / che squarciano il cuore? a che questi martirii? a che questa brama d'imperio / se non solo il potere ma anche la vita è destinata a dileguare?" Anche Kafka provò questi sentimenti di fronte "all'epoca malvagia" del suo tempo: "tutto il mondo è tragico" (...) "la guerra ha messo il mondo a ferro e fuoco" e di fronte a tanto lutto e tragedia si sente come impotente: "Io sono di Pietra". Questa è l'esperienza che deve aver provato anche il nostro autore; in tempi storici diversi la accomuna lo stesso sentimento; anch'egli, come Kafka, si sente "assegnato imperiosamente all'oscurità", è la negazione del diritto, dei diritti umani ad essere messa in discussione, è questa l'unica grande colpa dell'uomo eccitato dalla "brama d'imperio" e di "potere", e il poeta conclude con un eloquente interrogativo: "anche la vita è destinata a dileguare?" Il mistero e la risposta stanno dietro la parola, stanno nel silenzio che è parola, e nella parola che è allo stesso tempo silenzio, ma la parola non può esaurire tutto il dramma interiore del poeta; egli, come Ungaretti, sa bene che "la Parola ci riconduce nella sua scura origine, nella sua oscura portata, al Mistero, lasciandolo tuttavia inconoscibile" (Ungaretti); la risposta, dunque, sta nel cuore di ogni uomo, sta nei volti senza più storia, in quei cadaveri senza memoria, solo nella riflessione di tanta tragedia umana può nascere una nuova speranza di vita e di pace vera. Prof. Adriano Angelo Gennai |
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"CORALE PER LE VITTIME DEL LAVORO" |
Centro d'Arte Coreografica "Aglaia" Premio Artistico Letterario "Nicola Mirto" 2009 |
"CORALE PER LE VITTIME DEL LAVORO" di Vito Sorrenti
Il reale, che si ripete quotidianamente macchiato di sangue e di ingiustizie, assume in questa lirica la valenza di una tragedia umanitaria, sottolineata da una voce fuori campo, che insiste sul perenne strazio dell'animo umano. Solo la preghiera è salvifica in un mondo in cui il fato sembra coincidere con la "razza" rapace ed ancora razzista. La perizia stilistica ed il raffinato uso di figure retoriche avvalorano la tragicità quasi catartica del testo. (Prof.ssa Maria Messina) |
XXIV° Concorso Letterario Internazionale 2009
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"CORALE PER LE VITTIME DEL LAVORO" di Vito Sorrenti
Il taglio dell'opera presentata nella sua drammaticità delle vittime sul lavoro, nella sua immane tragedia sociale e umana riesce a dare al lettore consapevolezza e brividi di dolore. Andare alla ricerca di giustizia e di pace alzando le braccia al cielo in segno di fede e di speranza fa sperare in un domani migliore. La Giuria |
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"E SARAI ANCORA LUCE" |
Centro d'Arte Coreografica "Aglaia" Premio Artistico Letterario "Nicola Mirto" 2009 |
"E SARAI ANCORA LUCE" di Vito Sorrenti
Più che celebrativo, l'omaggio alla cara memoria di Adriano Angelo Gennai è luminoso, vibrante, aperto alla speranza del "dopo" e dell'"oltre". (Dott. Gregorio Napoli) |