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"IL VUOTO DELL' ASSENZA" |
Premio Nazionale Biennale di Poesia "Poetando Insieme" 2014
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IL VUOTO DELL' ASSENZA"
Sollecitato dal sole che tramonta e, poi, sorge potente a dire nuova vita, il poeta rimembra il suo amore, che non è più. L'assenza fisica è lacerante, crea un vuoto incolmabile. E con la poesia esprime il suo dolore, "l'aria di gelo fra le pareti del cuore". Il Presidente della Giuria Maurizio Mazzetto |
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"I DERELITTI" |
Centro d'Arte Coreografica "Aglaia" Premio di Poesia Artistico Letterario "Nicola Mirto" 2011 |
"I DERELITTI" di Vito Sorrenti
L' iter lirico di Vito Sorrenti è un'espressione epifenomenica dell'iter speculativo del poeta, posto che le sue liriche riescono da sempre a riflettere, nella loro celebre monumentalità, quella inesauribile tensione fra Storia e Sentimento che le rende con puntualità dotate di una peculiare forza, altrimenti irripetibile. I versi, teleologicamente volti a chiarire, entro i limiti del possibile, il senso del paradosso e le ragioni che hanno portato all'ineguaglianza fattuale, pur nel quadro generale di riferimento, diventano la via privilegiata per un auspicabile risveglio delle coscienze. Sorrenti descrive rigorosamente le devianze da un'etica di valori universalmente riconosciuti come validi, per sottolinearne, altresì, l'inalterata validità, nonostante le strutture del reale sembrino non contemplarli più, abbandonarli e spingersi ormai ben oltre i limiti di qualsiasi fantasmagoria precedentemente preconizzata dagli "idioti dell'orrore". Tuttavia, il poeta non si limita semplicemente ad esprimere l'inaccettabile condizione dei derelitti in una eccellente formulazione lirica ma si sforza anche di comprenderla, nel più etimologico dei sensi possibili, entro l'abbraccio onnipervasivo di un registro linguistico che si adatta alla dolorosa singolarità del caso in rilievo e che da forma esteriore diviene valore intrinseco. Per ciò stesso, e in virtù di una necessità interna allo sviluppo della poesia, l'autore sceglie di parlare alla prima persona del plurale, facendosi intimamente parte di una comunità complessa, quella degli "ultimi della fila". Nel circuito descrittivo de "I derelitti", il prevalere plastico delle metafore non inibisce affatto il prepotente emergere del vero: il succedersi delle immagini aderisce appieno al reale e lo incarna esemplarmente. Il coinvolgimento dell'artista non è logico-discorsivo, come potrebbe accadere nei migliori casi di stesura cronachistica, ma si estende, piuttosto, in profondità e avviene, inoltre, a tutti i livelli del calderone affettivo proprio degli "esclusi", soltanto così è possibile andare oltre la "fotografia" per toccare infine, su scie empatiche, la regione della "visione": Sorrenti, immedesimandosi nei "senza diritti", percepisce la fragilità ontica dei "sugheri sull'acqua" e ce ne restituisce magistralmente l'immagine. Aveva ragione Wassily Kandinsky nell'affermare, in una fra le più famose delle sue raccolte di notazioni, "Lo spirituale nell'arte", che l'artista ha tre "esigenze mistiche": in quanto creatore deve esprimere la propria personalità, in quanto figlio di un'epoca ne deve esprimere lo spirito, e in quanto tecnico a servizio dell'arte ne deve esprimere l'essenza imperitura. Orbene, ritengo che il poeta riesca a soddisfare, con il raro dono della verticalità, le suddette tre esigenze mistiche in un'unica forma armoniosa: - la sensibilità precipua, l'attenzione al dato presente e l'eleganza nell'espressione esprimono la personalità di un uomo che non frequenta i lirismi, né tantomeno si limita ad abitarli temporaneamente, Vito Sorrenti, infatti, è abitato dalla Poesia e, di giorno in giorno, sceglie di ri-sposarla con lo stesso primigenio entusiasmo delle prime promesse di felicità; - i disordini odierni e le mancate città della pace sono rispecchiati icasticamente e si incastrano con piglio storico nei suoi versi , nondimeno, lo strazio e l'orrore feriscono un linguaggio, perfettamente in grado di lanciare l'urlo di una Ragione che, nel suo percorso, si scopre inetta e niente affatto astuta, così come avrebbe desiderato e, senz'altro, ha creduto Hegel; - la pregnanza di senso dei versi conclusivi, "gli occhi impietriti e aperti come gli occhi dei morti che non hanno visto la pietà di una mano posarsi sui loro volti", sfida e vince le corse o le battute d'arresto di ogni tempo, che si voglia declinato al presente o al futuro: il dolore dei derelitti trova qui la propria forma pura e sempiterna, e si consegna nudo sia alla memoria sia all'istante dei posteri nella sua più intima essenza. (Dott.ssa Edvige Galbo) |
Accademia Internazionale Il Convivio
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Vito Sorrenti Primo classificato, sez. "Silloge di Poesie" con I DERELITTI
Silloge che nel suo divenire ascrive e registra chiare notifiche agli olocausti di questo nostro tempo. Componimenti dal distinto tratto musicale dove la rima fluisce alta e sonora a completare versi che lasciano tra le fibrillazioni del cuore quella dolce e anelata riconquista della luce. Versi univoci seminati con garbo, competenza e amore tra le realtà della vita per raccogliere nuove speranze tra le pagine del tempo. Parole vere che risuonano strazianti nel cuore delle notti a ridare voci ad anime mute, sacrificate sull'altare del culto col sangue di Cristo che non accetta più miserie umane. Sabato Laudato |
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"INVOCAZIONE ALLA PACE" |
IV^EDIZIONE PREMIO DI POESIA CITTA' DI CEGGIA "Luciano Doretto"
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VITO SORRENTI I° Classificato "Invocazione alla pace"
Il sapiente connubio tra l'afflato biblico, simbolico e salmodico, e un linguaggio poetico essenziale, che dà voce all'umanità afflitta dagli orrori della guerra con espressioni di fiducia e grida di aiuto, conferisce all'Invocazione un pathos così intenso e vibrante, da indurre la giuria a proporre un originale tema musicale per la sua meritevole esaltazione. (Mila Manzatto) . |
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"LA NEVE E LO SCEMPIO" |
Centro d'Arte Coreografica "Aglaia" Premio Artistico Letterario "Nicola Mirto" 2008
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"LA NEVE E LO SCEMPIO" di Vito Sorrenti
Nell'abile intreccio delle quartine, il Poeta, maestro nel produrre sensazioni ed emozioni in chi legge, evoca, fra empietà, strazio e domande senza risposta, uno dei drammi più terribili del nostro tempo. E lo fa con l'atteggiamento di un padre dolce, di un uomo buono, sbigottito, quasi disorientato, come tutti noi d'altronde, di fronte ad episodi raccapriccianti e di sconcertante brutalità. Dott. Gregorio Napoli |
Centro d'Arte Coreografica "Aglaia" Premio Artistico Letterario "Nicola Mirto" 2008 |
"LA NEVE E LO SCEMPIO" di Vito Sorrenti
Come in una tela espressionistica si mescolano sinistri i colori, così nel componimento del poeta Sorrenti, al candore della neve si sovrappone - beffardo - il rosso carminio, nonché l'eco lontana della tragedia greca che rimbomba, pur tuttavia, presente. Il poeta invoca il cielo, la terra e il mare in cerca di una giustificazione, assolvendo la funzione di un coro di euripidea memoria, ma laddove il coro spezzava lo spettacolo, il poeta assiste invece allo scempio più che reale che dai media lo insegue: la scena non provoca catarsi, soltanto orrore. Non c'è salvezza perchè non c'è finzione e Medea si reincarna dispiegando "ali e furore di atroce sparviero". Il registro linguistico è elevato e sfuma in immagini raffinate per ricreare una regione poetica incontaminata dal "chiacchiericcio anonimo" giornalistico che svende su testate di cronaca il più atroce dei delitti. La lirica consegna al lettore il precipitare degli eventi e l'epifania della catastrofe in un vortice di voci, segnate dallo sgomento; i toni si mantengono sulla soglia del descrittivo, non indugiano voyeuristicamente sull'orrore perchè rispettano e meditano. Ma, se anche fosse stata la "solitudine greve" a far dell'"angelo del focolare" l'autrice cruenta di un simile scempio, come si può giustificare la morte, che "entra come un lampo", facendo razzia di un animo innocente? "Scandalon": lapidaria definizione evangelica di un peccato imperdonabile persino dall'Uomo che redime tutti i peccati e viene per insegnarci il Perdono. Il poeta esprime lo sbigottimento dinanzi al vuoto di senso della parola "madre" se questa può trasformarsi in assassina, e infine porta l'animo del lettore a commozione ricordandogli che fu sempre quello il nome che "ogni implume declina per primo, che alberga nel cuore di ogni pulcino, che dolce risuona sulla bocca di ogni bambino". (Dott.ssa Edvige Galbo) |
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"LAGER" |
Centro d'Arte Coreografica "Aglaia" Premio Artistico Letterario di Poesia e Narrativa "Nicola Mirto" 2013 |
"LAGER" di Vito Sorrenti
Il filosofo tedesco, di origine ebraica, Hans Jonas nel mesmerico testo dal titolo Il concetto di Dio dopo Auschwitz, dopo l'immane tragedia della Shoa, si chiede se sia ancora possibile pensare Dio, secondo i canoni della tradizione e della religione ebraica, come buono, comprensibile ed onnipotente. Se i primi due attributi appartengono ontologicamente alla divinità e costituiscono il fondamento di ogni religione, Jonas sostiene allora che, dopo Auschwitz, l'attributo di onnipotenza non possa essere più associato a Dio, il quale "non intervenne, non perché non lo volle, ma perché non fu in condizione di farlo". Questa piccola premessa "filosofica" inquadra in maniera icastica lo spazio concettuale entro cui pensare i versi della poesia Lager di Vito Sorrenti. L'autore, attraverso un verseggiare che si alterna tra disperazione e rabbia, sconforto e speranza, tratteggia in maniera decisa le immagini di un campo di concentramento, e nel contempo ripropone, attraverso invocazioni continue, la domanda che, nel soffocante e, a un tempo, assordante silenzio di Auschwitz, emerge in maniera prepotente, riprendendo l'urlo straziante del Cristo morente: "Eloì, Eloì, lama sabactàni?" (Mc 15, 34). E risposta non c'è di fronte all'orrore generato dalla violenza di "belve", che riducono "in paralumi la pelle dell'uomo"; di fronte alla violenza perpetrata su chi, come Dostoevskij e Nietzsche ricordano, è innocente per definizione: i bambini; di fronte ai camini che rendono grigia la neve dell'inverno polacco, riducendo "in fumo il sangue dell'uomo". È questa la "notte senza fine" che emerge dai versi del poeta; notte che richiama la descrizione fatta dal premio nobel per la pace Elie Wiesel nel romanzo autobiografico intitolato proprio La nuit. Una notte che avvolge con l'oscuramento della ragione l'intero genere umano, prospettando il dominio di quel nichilismo assoluto, che ha nella formula "Dio è morto" la sua espressione apicale. Ma tra la notte di Wiesel e quella del nostro autore c'è una frattura inconciliabile; da un lato, nelle parole del filosofo di origini rumene non traspare alcuna fede, alcuna speranza nella trascendenza: di fronte all'impiccagione di un bambino ad Auschwitz, alla domanda di un altro prigioniero "Dov'è Dio?" egli sente una voce dentro di sé che risponde "Egli è qui. È appeso su questa forca"; dall'altro, dai versi di Sorrenti emerge una speranza nella giustizia divina, in quanto luce "capace di dissolvere quest'indicibile pena". L'ultimo appunto di questa motivazione vorrei dedicarlo ad un'impressione mia personale, che va al di là della poesia stessa, ma che, a mio avviso, è calzante con le parole che emergono dai versi. Sebbene la lirica sia esplicitamente dedicata "alla memoria dei deportati", credo che Lager sia l'espressione paradigmatica di una condizione storica ed esistenziale che va oltre l'evento della Shoa; come ricorda Agamben in Homo Sacer, il campo di concentramento è il paradigma bio(tanato)politico della modernità, esso rappresenta in maniera suprema la condizione di fabbriche, città, scuole, luoghi in generale in cui la vita è diventata produttiva nella sua datità immediata e quindi oggetto dell'attenzione del nesso potere-sapere che domina il moderno ed ha nel capitalismo sfrenato il suo alleato economico. La poesia di Sorrenti oltre ad essere una testimonianza di una delle pagine più buie della storia dell'uomo vuole essere al contempo un monito ed una denuncia contro la natura malvagia "del funesto rapace", in cui si è trasformato l'uomo. dott. Salvatore Spina |
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"NOSTOS" |
Centro d'Arte Coreografica "Aglaia" Premio Artistico Letterario di Poesia e Narrativa "Nicola Mirto" 2013 |
"NOSTOS" di Vito Sorrenti
Le liriche di Vito Sorrenti si contraddistinguono per un andamento narrativo-musicale che conduce il lettore ad un vero e proprio atto di ascolto integrale, ben oltre un'esperienza esclusivamente contemplativa. In "Nostos" la disposizione formale dei versi, la struttura timbrica, lo spettro variegato del registro linguistico, coordinandosi fra di loro armonicamente, manifestano un intimissimo legame con l'idea e/o con l'intuizione creativa che anima l'intero componimento, determinando, così, un equilibro classico fra ciò che è materiale e ciò che è contenutistico-spirituale. Ciò che è vivo non può essere misurato, per esprimersi in termini eminentemente goethiani, da ciò che sta al di fuori della vita, ebbene il poeta riesce a restituire nei suo versi l'intensità della ricerca di ciò che è perduto soltanto perché è capace di lasciarsi attraversare da sentimenti autenticamente intensi: in piena coincidenza fra misura e misurato, l'autore dà forma alla sue domande senza risposta («E tu, dove sei tu? Da quale finestra t'affacci? Da quale porta sorridi?») perché quelle stesse domande hanno dato forma al conflitto interiore del poeta stesso, al suo cuore che in tumulto rompe i silenzi. Nella prima parte del componimento, Sorrenti descrive un paesaggio muto, aspro, disabitato che irrompe con violenza sulla memoria visiva del passato e le si oppone contestandola sino a che «un suono d'arpa sconsolato e mesto rintocca» nel petto dell'autore, costringendolo a riconoscere la trasformazione definitiva dei luoghi dell'infanzia. Il divenire è impietoso, produce un effetto di straniamento, spodestando l'uomo dagli spazi sereni del passato: il vivido snodarsi di immagini familiari è sottratto allo sguardo dell'indagine poetica e non resta che un durissimo silenzio, un deserto in cui — jabesianamente —, nel conflitto fra assenza e presenza, è l'assenza a vincere. Nella seconda parte, il poeta avvia un dialogo funambolico e tragico con la madre perduta: teso sul filo delle interrogazioni che non potranno trovare risposta, Sorrenti cerca ancora la dolcezza degli occhi verdi della mamma, il fuoco sacro del suo affetto, il trepidar del cuore suo in attesa dei figli lontani. La madre è salvezza, la madre è la redenzione, la madre è la traccia da seguire nei sentieri tortuosi del vivere odierno e, come in una meravigliosa tela del Caravaggio, è il capo chino di Maria sul viso del proprio piccino, tenerezza paradigmatica, inimitabile senso di protezione e conforto in un momento di riposo dalla fuga in Egitto. Il nostro autore accosta le azioni della madre a quella di Cristo nell'atto di spezzare il pane e versare il vino perché ogni madre, nel microcosmo delle singolarità umane e in senso strettamente terreno, replica l'atto di dar la propria vita per i figli amati; come Gesù tutte le sue creature, così la madre ama incommensurabilmente le proprie. E di un amore così grande non si può restare orfani indifferenti: nell'alluvione quotidiana di discorsi senza senso, di frenesie e lotte senza meta, l'amore eterno della madre andrà custodito come un dono invisibile ma tangibile, come ciò che alleggerisce ogni uomo al mattino quando esce di casa per andare al lavoro, e cioè la speranza di poter far ritorno a casa propria. Dott .ssa Edvige Galbo |
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"NOVEMBRE" |
Centro d'Arte Coreografica "Aglaia" Premio di Poesia Artistico Letterario "Nicola Mirto" 2011 |
"NOVEMBRE" di Vito Sorrenti
La tristezza e la mestizia del mese di Novembre dedicato ai "volti che non ci sono più" portano l'animo a tristi pensieri, a ricordi e all'inevitabile riflessione sullo scorrere del tempo. La bellissima similitudine, che Vito Sorrenti fa tra la vita delle foglie autunnali e la vita degli uomini, è l'interprete principale della sua lirica che dipanandosi, come una fervorosa splendida preghiera, può considerarsi, a tutti gli effetti, una piccola perla di saggezza. Le foglie, come l'uomo, vengono staccate dall'albero dal vento della morte e sparse ed abbandonate "al loro ignoto destino", soltanto la Misericordia Divina, Celeste Consolazione, potrà aiutare le foglie-uomo - "foglie aggrovigliate ai rami contorti della vita" - a trovare il "riposo eterno" dopo le tribolazioni terrene, e soltanto così noi uomini potremo accettare che "le gelide braccia della morte" possano essere la naturale conclusione del ciclo della vita. (Prof.ssa Giuseppina Ferrara) |
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"PARABOLA DEI SIMBOLI OBLIQUI" |
Manifestazio-ne Maggio Pontelongano 2006
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"PARABOLA DEI SIMBOLI OBLIQUI" di Vito Sorrenti
La guerra, spietato strumento in mano a avidi manovratori, dissemina terrore e morte al pari di una pioggia torrenziale che cade obliqua e non distingue le vittime. Parole dure, forti. Se il cielo può dare ai mortali soltanto dolore e miseria, allora un'invocazione finale al pensiero dell'uomo, perché squarci le tenebre del male e rischiari gli oscuri recessi del cuore. Si tratta di un componimento poetico di notevole efficacia in quanto a carattere polifonico dove più voci si fanno eco, con la capacità di toccare i punti salienti di un tema difficile mantenendo alto il tono, con vigore e versatilità. La Commissione |
Centro d'Arte Coreografica "Aglaia" Premio Artistico Letterario "Nicola Mirto" 2006 |
"PARABOLA DEI SIMBOLI OBLIQUI" di Vito Sorrenti
L'abile intreccio poetico si muove fra le speranze della Pace ed i disastri del Crimine, della Guerra, della Violenza. Per chiudersi, infine, nel conforto della costrizione. Dott. Gregorio Napoli |
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"PER VICHI E SCALINATE..." |
PREMIO NAZIONALE di POESIA "un sorriso per gli anziani" — 2014 |
"PER VICHI E SCALINATE..."
Il ritorno nei luoghi dell'infanzia e della giovinezza suscita una mare di ricordi nel cuore del poeta, ma una triste constatazione spegne subito l'impulso gioioso: i volti e i sorrisi di un tempo sono spariti. I giovani sono emigrati altrove, spinti dalle necessità dell'esistenza. Eppure i ricordi hanno ancora i colori, le voci e le sensazioni di un tempo, quando era lecito sognare e tristezze e dolori non avevano ancora segnato la vita. Questa bella lirica, impregnata di dolcezza e di nostalgia, induce a riflettere sul senso dell'umana esistenza, raffigurata nel succedersi rapido di efficaci quadretti, descritti con grande capacità di osservazione e ottime scelte lessicali. |
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"PREGHIERA DELLE ANIME AFFRANTE" |
Centro d'Arte Coreografica "Aglaia" Premio Artistico Letterario di Poesia e Narrativa "Nicola Mirto" 2012 |
"PREGHIERA DELLE ANIME AFFRANTE" di Vito Sorrenti Dal libero fluire dei versi, resi incalzanti dal susseguirsi delle anafore, scorrono dinanzi ai nostri occhi toccanti immagini pregne di intensa carica espressiva che ci coinvolgono emotivamente e che riecheggiano intensamente nel nostro animo. La lirica, che ha i connotati di una preghiera rivolta a Dio, sottende negli ultimi versi un messaggio di eticità che si riallaccia a sani principi di solidarietà e di impegno sociale. Essa affida infine al lettore la speranza sommessa che gli uomini di buona volontà sappiano operare per il bene dell'umanità sofferente. (Anna D'Angelo) |
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"PREGHIERA" |
Centro d'Arte Coreografica "Aglaia" Premio di Poesia Artistico Letterario "Nicola Mirto" 2010
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"PREGHIERA" di Vito Sorrenti
Il poeta intona una personale teodicea che si risolve, alfine, in preghiera di liberazione dalla sofferenza che, indomita, scioglie le ali di cera di chi tenta di involarsi al di là del "contemptus mundi". Si susseguono sequenze di dolore, l'inquieto peregrinare dell'uomo e le immagini del suo calvario che sembrano non lasciare posto alla Speranza: l'andamento marziale dei versi toglie respiro alla lettura, lo scritto descrive, infatti, il raggelamento dell'animo e, nondimeno, le scelte stilistiche dell'autore contribuiscono a ricreare l'originario sgomento delle vittime di fronte alla propria tragedia anche nel lettore, così che il cuore si laceri in un empatico feedback, come per effetto di un sortilegio, nella tagliola dello sconforto. Alla domanda insistita, "Dove sei, Signore, dove sei?", fa da contraltare il cuore e la ferma fiducia di Sorrenti nell'Esistenza di un Buon Dio che dal cerchio delle Sue Insondabili Volontà compierà un gesto di misericordia per "ridestare l'umano intelletto dai suoi sogni infausti". (Dott.ssa Edvige Galbo) |
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"RITORNO IN SICILIA" |
Premio delle "Due Sicilie" 2016 |
Ritorno in Sicilia di Vito Sorrenti
Dalle origini dell'uomo i filosofi hanno cercato di dare una definizione alle scienze teologiche e, pensando un attimo a Wolff, egli definì la teologia: "La scienza di ciò che è possibile per opera di Dio", mentre Kant, invece, nella "Critica della Ragion Pura", si preoccupò di distinguere la teologia razionale e la teologia rivelata. In queste ragioni non manca la poesia dell'eloquente autore Vito Sorrenti, che della solare e storica Sicilia mette in evidenza un lirismo intriso di natura, di ricordi, di colori e folklore unici al mondo. Un perfetto concetto, che entra di prepotenza nei significati e nel significante del poeta, anima sensibile, che a mio dire, del trascendentale "Concepisce il suo soggetto semplicemente con la ragion pura mediante meri concetti trascendentali; quindi la poesia come la teologia naturale, si avvale di concetti naturali, di quel sentire i profumi della natura. Carmine Iossa |