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"SEQUENZE DI FEROCIA" |
Centro d'Arte Coreografica "Aglaia" Premio Artistico Letterario "Nicola Mirto" 2006 |
"SEQUENZE DI FEROCIA" di Vito Sorrenti
"Angeli ciechi nutriti d'astio vanno ad occhi aperti dietro vessilli di morte". È dunque l'agonia della umanità quella che si celebra in questi versi? Sembrerebbe essere questo il percorso intrapreso dal poeta di fronte ad una umanità infelice, che sperimenta giorno dopo giorno "l'ombra agonica" dello spirito, privato di ogni valore, sacrificato a quei "fardelli nefasti della fede funesta" che "squarciano petti" e lacerano lo spirito consacrandolo ai "morsi del terrore occulto", laddove "la voce di Cristo risuona dolente nel pianto silente di angeli infanti". Questo linguaggio duro, amareggiato, nasce da un dolore acerbo, da una disperazione che il poeta vive come testimone impotente di fronte al male dell'uomo, di fronte a quelle barbare "sequenze di ferocia", segno inquietante di una "fede funesta"; sono versi che riportano alla mia mente alcuni versi significativi di una lirica del grande Ungaretti: "Come si può ch'io regga a tanta notte?". Il nostro autore usa volutamente una metrica equilibrata, in un gioco perfetto di simmetrie e rispondenze, le stesse immagini seguono un preciso percorso nella "disposizione delle parti" e ne risulta una coralità fatta di costanti variazioni tonali, che esprimono bene e senza eccessi emozionali il "linguaggio del dolore", che non deve mai risultare scomposto e alterato. In questo modo, il messaggio del poeta risulta forte ma soprattutto chiaro, senza eccedere mai verso una "violenza della realtà oggettiva", verso una "ambiguità del simbolo oscuro ed inquietante" (Squarotti), poiché, nella notte del dolore e del dramma, c'è sempre la speranza di una rinascita, anche se il Nostro sembra abbandonarsi ad una esperienza di dolore senza risoluzione, chiuso in quel silenzio lacerato, in quell'urlo drammatico: "O Mondo ancora schianta e si schianta il sangue..."; parole tanto più vere e dure quando sono liberate "da ogni velatura e superstruttura letteraria" (Giudice), per essere incise non sulla carta ma sul cuore della umanità, affinché sia liberato "dagli artigli affilati dei nuovi profeti". Il poeta descrive il dolore con versi profondi: "E l'anima si incrina e geme affranta per le piante falciate e i fiori appassiti" come Ungaretti nei versi: "Come questa pietra è il mio pianto che non si vede". Di fronte a questo destino di sofferenza, di angoscia e di afflizione, l'autore ha ancora la forza di lanciare una supplica perché l'umanità esca dal "silenzio apocalittico" per incamminarsi verso un "silenzio aurorale" e lo fa attraverso un pulpito privilegiato, quello della Poesia, perché il mondo ritrovi una "visione pacificante" dell'umanità, dove tutto ciò che ora è morte torni ad essere Vita, una vita senza verità frammentate e dissolte; se questo messaggio giungerà intatto al cuore della umanità, "dall'angoscia della morte" rifiorirà una nuova vita capace di spazzare via quelle disumane "sequenze di ferocia": "Folgora, o Luce, gli officiatori di riti e sacrifici atroci e irradia la tua luce negli occhi degli angeli ciechi". (Adriano Angelo Gennai) |
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"TRAGICHE SEQUENZE" |
Centro d'Arte Coreografica "Aglaia" Premio di Poesia Artistico Letterario "Nicola Mirto" 2010 |
In "Tragiche sequenze" il poeta traccia il rovinoso e discendente percorso dall'essere agli inferi, il trionfo fatale della calamità naturale sulla vita dei popoli e, principalmente, dei più deboli che soccombono indifesi. Lo spaesamento dinanzi alla catastrofe e il disagio dell'impotenza più forti sospingono l'animo alla preghiera: il Dio "della vita, della morte, dell'inizio, della fine, della pioggia e del vento" è invocato dal rosso di un infernale rodeo a temperare l'animo offeso. Il teleobiettivo e l'ingrandimento fotografico pongono le case distrutte al centro del mirino ma il maceramento e la pena dei cuori è più buio dello strazio fisico, soltanto l'anima eletta di un poeta li può cantare e restituirne l'immagine vivida con efficacia, al di là dei montaggi degli apparecchi ottici. L'autore stende solennemente un inno di rabbia e dolore, seguendo, attraverso il medium del linguaggio, le linee di una temporalità fissa ed immobile, quella della tragedia classica che più di tutte si presta a dare un volto al dilaniarsi degli animi e all'efferatezza di chi si è reso colpevole, di chi, perdendo completamente di vista il bene comune, insegue i profitti con amara ingordigia e "aggiunge pene alle pene di Adamo". Nonostante i sentimenti di spiritualità oggi appaiano disinnescati, o tutt'al più vetrificati nel catalogo dei valori globali, l'autore si impegna ad andare oltre al "tutto che si vede", sino a toccare empaticamente l'intimo sconforto delle vittime. I versi non asciugano il pianto e neppure leniscono il "lamento funebre", tuttavia, denunciano la mancata rassegnazione come anche il disprezzo per la rea avidità, esaltando, alfine, un senso di dovuta meraviglia dinanzi al "vascello dell'uomo" che "va in frantumi" e contro ad un'imperdonabile indifferenza e disincanto generali.
(Dott.ssa Edvige Galbo) |
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"TRITTICO DEI DISASTRI" |
Centro d'Arte Coreografica "Aglaia" Premio Artistico Letterario di Poesia e Narrativa "Nicola Mirto" 2012 |
Il poeta nella sua lirica ci descrive, grazie ad una struttura poetica sempre originale e personale, con un linguaggio duro ed efficace, i disastri e le rovine che l'uomo crea a se stesso, ai suoi figli e di conseguenza a tutta la Terra. Nei versi viene evidenziata l'inutilità della agghiacciante guerra, la più grande sciagura dell'uomo, così come l'orrendo e "silente olocausto" che distrusse, nel silenzio colpevole di tanti, una moltitudine di giovani vite, ed ancora "l'ingordigia umana" che ha prodotto armi sempre più sofisticate e subdole le quali "bruciano il domani alle future generazioni" devastando tutto ciò che incontrano. Come il pittore Picasso nella famosa "Guernica", Sorrenti, attraverso i suoi versi, con pennellate dense di angoscia e di rabbia, rende visibile il toccante dolore, l'immane disastro, l'orrendo misfatto. L'autore, tuttavia, non è mai abbandonato dalla Speranza e porge una preghiera all'Alto per un ravvedimento dell'uomo, affinché possa porre un limite alla sua odiosa brama di potere, prima che "l'irreversibile rovina renda sterile il seme e arido il giardino del genere umano".
(Prof.ssa Giuseppina Ferrara) |
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"TRITTICO DEL DEGRADO E DELL'ODIO" |
Centro d'Arte Coreografica "Aglaia" Premio Artistico Letterario "Nicola Mirto" 2005 |
"E l'anima brucia d'umano cordoglio per l'uomo al guinzaglio deriso e violato". Attraverso questi versi profondi e drammatici ci sentiamo come immersi in una spontaneità espressiva dura e cruda di una realtà umana umiliata che "giace incurvata sotto il giogo nemico", sotto "l'agghiacciante delirio del terrore occulto" che ne sottolinea l'immediatezza espressiva e quello sforzo lucido che mette a nudo i mali del nostro tempo; una realtà tragica, che infligge ai più deboli e agli innocenti "abusi e sadici strazi", che senza alcuna pietà, neanche dei bambini, "affonda i suoi rostri nelle prede inerti".
Il tono, che ne consegue, accenta la lirica in ogni suo verso e rivela un dolore profondo che piaga l'animo del poeta che ora "avvampa d' ira e di pianto per il soffocato lamento della linfa straziata". Non stupisce questo cedimento interiore se non conosciamo la sensibilità profonda e vera del poeta, egli è consapevole delle sofferenze umane ed ogni sua espressione, in sintonia con le vibrazioni interiori di tutto il suo essere, "ora si arresta d'un tratto, ora precipita" (Pirandello), ora si fa commossa fino alle lacrime, ora urla tutto il suo sgomento: "O mondo, rossi di sangue le tue lande infuocate e i tuoi antichi orizzonti, rossi di sangue il pianto dei vinti e il lamento degli innocenti, rosso sangue l'umano sgomento". Non sono esagerazioni tonali, né si tratta di espedienti letterari, volti ad una tecnica "iperespressiva", artificiosa; in questo "trittico del degrado e dell'odio" tutto è vero, nessuna convenzione letteraria, dunque, nessun artificio può generare versi così intensi, profondi e duri allo stesso tempo, per il solo gusto letterario; la ricchezza di "immagini del dolore" e del dramma apre scenari sconvolgenti a cui nessuno può sottrarsi, si tratta di immagini che scorrono davanti agli occhi di tutti ogni giorno e sono immagini che non possono essere ridotte nelle anguste "proporzioni del dramma" perché appartengono alla realtà. Il Poeta ha il dovere di parlare all'uomo come artista e come profeta e le sue parole saranno tanto più vere e forti se egli per primo avrà fatto sue quelle immagini eternandole nel verso poetico, affinché tutti gli uomini di oggi e di domani sappiano che "ora più che mai, la Luce di Dio brandita è dall'uomo come lama tagliente", perché tutti sappiano e facciano memoria di quelle terre "inondate di sangue e di orrido scempio è la cieca violenza ovunque nel mondo". Leggendo questa lirica si avverte un moto di "ribellione interiore", che non è nullificazione totale o alienazione dal mondo per rifugiarsi in una realtà idealizzata, forse migliore, senza le brutture della meschinità umana, ma certamente non vera; il poeta ci scuote fin dal più profondo della nostra anima, ci mette di fronte alla realtà del male e dell'odio, e questa lirica diventa un messaggio che deve aprire ed interrogare la nostra coscienza, perché l'uomo del domani sia davvero migliore e avverta fin d'ora l'esigenza "di un nuovo sentimento della vita", capace di liberarci dallo smarrimento e dallo sgomento di fronte ad un "mondo rosso di sangue", dove "l'agghiacciante delirio del terrore occulto minaccia tempeste di gelido lutto". Posso dire, quindi, con il critico De Castris che proprio il fallimento di questa umanità di fronte alla storia "diventa la condizione della sua arte", il poeta non userà questa arte per fini puramente artistici, estetici ed intellettuali, ma, piuttosto, per rendere l'uomo sempre più consapevole della tragedia umana, del "degrado e dell'odio" in cui versa il mondo. È tempo in cui l'anima e la coscienza di ognuno torni ad ardere "d'umano cordoglio per l'uomo al guinzaglio deriso e violato", solo questa potrà dirsi una coscienza autentica, capace di aprire nuovi orizzonti di pace, di tolleranza, di amore, un nuovo mondo, una nuova storia senza più degrado umano, senza più odio. M° Adriano Angelo Gennai |
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"TRITTICO DEL DOLORE" |
Centro d'Arte Coreografica "Aglaia" Premio di Poesia Artistico Letterario "Nicola Mirto" 2010 |
Nel trittico di Sorrenti si intersecano più voci che si accavallano per narrare l'assurdo che tocca all'uomo: il dolore e la pena. Le strofe brevi sono puntellate dall'uso reiterato delle liquide, sì da sciogliere un nodo in gola e far sì che il pianto, bloccato fra l'anima e la parola, esploda espressamente in supplica di requiem. Il "mistero della polvere" governa l'affanno esistenziale e il dono della fede permette al poeta di ascoltare la Voce "profonda e assoluta / che parla al creato", trovando l'agognato conforto. La poesia in Vito Sorrenti riscopre una finalità propria e, libera da obblighi rappresentativi o scopi esteriori, traduce, per via di un magistrale talento versificatore, l'impegno etico di ciascun uomo rispetto alla comunità e al Bene in un sempiterno canto classico.
(Dott.ssa Edvige Galbo) |
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"TRITTICO DEL LUTTO" |
Premio "Cittàdellapoesia"
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Menzione d'Onore Vito Sorrenti di Sesto San Giovanni (MI) "Trittico del lutto"
Dopo la descrizione apocalittica dei mille mali che lacerano questa povera umanità, prorompe l'urlo accorato di chi grida al Signore la consapevolezza del proprio dolore e della propria morte. E da questa presa di coscienza scaturisce la preghiera che invoca pace, luce e vita. Composizione complessa e ben costruita, che rivela il possesso di ottime capacità espressive e di una tecnica del verso personale e ormai consolidata. La Giuria |
Centro d'Arte Coreografica "Aglaia" Premio Artistico Letterario "Nicola Mirto" 2004 |
"Sento il fragore dei flutti / e la furia della tempesta / M'investe l'impeto delle acque / e lo sgomento dei volti / Mi devasta l'urlo dei derelitti / e il silenzio dei morti". In questi magnifici versi introduttivi si avverte la forza evocatrice della parola, sostenuta, da "sentetiae graves" (pensieri profondi), e si avverte, nondimeno una concinnitas (disposizione armonica) dei versi, dove "numerus non causa quaesitus est" (dove il ritmo non è volutamente ricercato) ma parte integrante dello stato d'animo del poeta.
Il dolore è forte, intenso, crudo, di fronte "allo sgomento dei volti", è muto, soffocato, di fronte "al silenzio dei morti", turbato, sconvolto, di fronte a "quegli occhi / velati di lutto", mentre il suo sguardo smarrito, si aggira 'fra gli edifici distrutti", con cuore pieno di pena e di pianto. Il poeta usa "vis verbi" (la forza della parola) per descrivere il suo stato d'animo, usando e dosando sapientemente i "gradus sonorum" (le gradazioni cromatiche del suono), pur di raggiungere il cuore dell'uomo (cordis persequendi), affinché prenda coscienza dell'urlo "del sangue innocente" , (...) "della linfa artigliata", del "brutale supplizio" di un'anima impotente di fronte a tanto male, di "un'anima dilaniata" che "si inabissa nel vuoto della notte infinita". Si percepisce ora "quandam duritatem in verbis" (una certa durezza nelle parole), ma esse non sono un costrutto artificioso, è la voce del poeta che "erompe straziata dalle dolenti macerie". Questo è, in definitiva, il compito della poesia, la sua più alta "missione letteraria"; essa, soprattutto in questi versi, non canta un mondo astratto e impalpabile, potrà usare metafore e simboli, ma il suo linguaggio, che muove da un mondo interiore, "deve essere calato nel contesto vivo e concreto della Storia, della Società, della Vita" (E. Garin), diversamente non c'è messaggio, non ci sono vere emozioni. I livelli ritmici di questa lirica sono molteplici, tante quante sono le modulazioni dell'anima, lo stesso "colore" del suono, del timbro, varia col variare dello stato d'animo del poeta, pur mantenendo una profonda struttura simmetrica delle parti, un'unica voce corale, in un trasparente contrappunto intercalato dalla monodia che è rivelazione del drammatico esodo dell'uomo all'interno della storia, dove "non si estingue l'umana miseria", dove l'umanità ha bevuto "fino alla feccia / l'esperienza carnale del dolore, /e il fiele dell'ira e il gelo del lutto"; di fronte a quelle "dolenti macerie", ora ci rendiamo conto di essere "morti alla luce", di essere "morti alla grazia". La solitudine del poeta è estrema, e questa lirica, sofferta nel proprio cuore, nasce da quel "silenzio carico di tutti i silenzi" (Cresti), perché è "un silenzio in fiamme" (Cresti). Ora, il poeta, chino sulla croce delle miserie umane, prega ed invita alla preghiera tutta l'umanità, perché ora, più che mai, c'è bisogno di verità, di dialogo, di libertà, di fiducia, di ascesi, di tenerezza; anche l'uomo può e deve raggiungere la profondità profetica del poeta, ma questo sarà possibile se anch'egli saprà avere, dentro di sé, "la nostalgia del silenzio", e allo stesso tempo "il dinamismo della pienezza" da cui ha origine l'arte, la musica, la poesia e, allo stesso tempo, una sensibilità profonda di fronte al dolore umano, una novità interiore di fronte al mistero, una urgenza del cuore di fronte all'amore e alla verità. Solo se il cuore dell'uomo reagisce, con commozione vera, alla tragedia del mondo, della vita, allora il suo cuore sarà credibile e potrà quindi pregare con il poeta, poiché avrà raggiunto quella "dimensione profetica" dell'esperienza del mistero, un nuovo "état de poésie", "che è intuizione dell'essere, rivelazione del mondo, conoscenza oscuramente luminosa" (Maritain): "Dio degli afflitti / illumina l'umano intelletto / e disciogli il ghiaccio / che ci raggela il petto (..) Scendi, o Luce, fra le pareti / dell'affilata ferocia e trasmuta / in anelito di vita il nero latte/ che nutre le nefaste radici". Prof. Adriano Angelo Gennai |
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"TRITTICO DELLA LIBERTA" |
Concorso Internazionale delle Arti "Dolce Sole — alla memoria di Donatella Gaspari"
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Una denuncia dell'assurdità della guerra, una presa di coscienza dell'efferatezza di quanto avvenuto e un monito a non-dimenticare, in un contrappunto condotto in modo suggestivo: ciascuna delle tre voci della poesia ha il suo pathos (i fulminanti flash sullo sterminio, lo struggente grido alla Libertà, le crudi immagini — che colpiscono come pietre — di vite bruciate), ma solo tutte e tre insieme restituiscono un tutto polifonico di immensa commozione. Tanto più che, mentre l'invocazione alla Libertà da una parte, e l'agghiacciante panoramica sullo "scempio di sangue" dall'altra, hanno una loro struttura e possono essere lette autonomamente, la terza parte del trittico, quella dedicata alla "disumana ferocia" (tutti versi di un rigo che iniziano con una preposizione, come sinistri rintocchi di campana sulla distesa di "fango" in cui si è consumata la tragedia), ha senso solo in funzione delle "vite sconvolte": quasi a dire che l'orrore non ha una sua consistenza ma, come recita la terzina posta all'inizio del "Trittico", è "il sonno del senno". La Libertà, al contrario, è personificata: invocata e attesa come fine del "calvario", "memoria" e conforto. Il male può invadere tutto il mondo perché è come un fuoco che si alimenta di ciò che brucia, ma non ha sue radici: è una fiamma che devasta e lascia il gelo. La Libertà ha invece una sua profondità, perché ha la capacità di ricordare e di squarciare i "sipari", la capacità di pensare e di amare. E in quanto "capacità", come suggerisce la chiusa del "Trittico" in forma di preghiera, è "in potenza" e diventa possibile solo con un impegno continuo. Non a caso la poesia termina con due verbi, incidere e dissipare. due azioni, per impedire ogni altra "truce barbarie". (dott. ssa Emanuela Martinelli)
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Centro d'Arte Coreografica "Aglaia"
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Il trittico di Vito Sorrenti colloca su un piano simbolico l'indimenticabile strage dell'Olocausto, mediando, attraverso immagini, contenuti altrimenti non comunicabili, brutture difficilmente integrabili entro l'opera perché indecifrabili per il pensiero, inconcepibili per la coscienza: il verso diventa lo strumento a cui affidare l'immenso dolore e l'urlo inestinguibile dell'anima offesa. I versi seguono l'ardente geometria della sofferenza di "vite sconvolte dagli artigli dell'astio", del "materno dolore per i figli uncinati dai feroci sparvieri", e cercano un giusto riscatto all'incomprensibile sacrificio di vita, guardando dritto in faccia alla realtà, senza fughe ed evasioni, pretendendo "perenne memoria della più truce barbarie". L'evento dell'Olocausto si sottrae ad ogni possibile caratterizzazione e, per ciò stesso, l'incisione di questo orrore, a caratteri di fuoco, sulle pagine di storia, deve provvedere a redimere l'umanità colpevole (anche quella non direttamente coinvolta e persino quella futura) perché si tratta di un orrore del quale è vietato il misconoscimento o l'oblio, a cui tutto purtroppo in genere ritorna, e a cui, invece, deve seguire, di necessità, un rinnovarsi continuo dello sgomento. La disposizione formale del trittico permette di rivelare organicamente la tensione fra due forze antagoniste: quella della morte, armata della "disumana ferocia" e delle "vampe dell'odio" e quella della vita, sostenuta, invece, da una incrollabile fiducia, incarnata poeticamente nell'invocazione costante della Libertà. Ed è proprio la Libertà, finalmente "giunta su queste lande funeste" a rendere meno ripugnante l'orrore "ch'esala dolente dalle reliquie dei bimbi", a portare luce sul confine fra il tristemente vissuto e l'impensato che, pure, ha agito e trionfato ad opera di "orde di lupi". La Arendt, fine lettrice del "sonno del senno" in cui son caduti potenti e civili, durante il regime nazista, ha magistralmente evidenziato l'assenza nei colpevoli di un dialogo attivo con il proprio sé, un dialogo che avrebbe impedito simili misfatti, perché chi gode di una coscienza parlante non accetterebbe mai di andare a dormire con un assassino, e cioè se stesso. Alla Libertà l'autore chiede, dunque, di dissipare "questo gelo che ci raggela il cuore", il gelo che si prova dinanzi al male innominabile che sconvolge l'ordine della razionalità e fa perire il Senso dinanzi alla mancanza di sentimento e sensibilità, dinanzi alla voragine che inghiotte ogni uomo quando non scopre nell'altro uomo un compagno o un fratello ma una fiera spietata, capace di ordire trame infernali, e incapace di vedere nell'altro da sé l'immagine sacra del proprio Creatore. Sorrenti, da poeta, ha accesso privilegiato alle infinite contraddizioni del reale e sa dar loro voce con l'eleganza classica della compostezza e, nel contempo, con grande originalità apre, attraverso rappresentazioni plastiche di grande densità concettuale, altre vie al sapere, se è vero, per dirla con Marquard, che è la storia stessa a richiedere la non-storia perché la si possa comprendere davvero. Ebbene ritengo che l'autore riesca ogni volta, ed ogni volta con talento sempre maggiore (non mancando mai di avere accenti di immensa tenerezza), a chiarire la storia attraverso la Poesia, mitigandone i tristi verdetti e affidandola al dolce Canto.
(Dott.ssa Edvige Galbo) |
Associazione Orma Cultura
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E' una lirica che esamina il valore della libertà, un diritto di cui l'uomo ha assoluta necessità. Il poeta evidenzia soprattutto il sacrificio di conquista e attraverso un linguaggio catartico eleva la voce dell'animo per ricordare le tante vittime e soprattutto lo scempio del sangue. La voce del Poeta si innalza per rompere l'indifferenza, mentre esorta a non distruggere i valori. Interessante è la ricchezza metaforica dei termini e l'utilizzo di immagini che rafforzano l'incipit di una lirica che attualizza la storia
(Enza Conti) |
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"TRITTICO DELLA TEMPESTA" |
Centro d'Arte Coreografica "Aglaia" Premio Artistico Letterario "Nicola Mirto" 2006 |
In una composizione polifonica, l'autore descrive uno degli ultimi più terribili
drammi vissuti dalla nostra umanità. Travolti dall'Apocalisse delle acque, uomini, tuguri, lidi, approdi e candidi gigli non sono più con noi. "Quali le colpe degli ignari virgulti?" - si interroga il poeta - e rivolgendosi alla Natura chiede "perché infierire se già immenso è l'umano dolore?". La domanda, purtroppo, rimane senza risposta perché fa parte di quel mistero della vita che non ci è dato cogliere. Possiamo soltanto sperare che dall'Alto vengano raccolte le invocazioni ed esaudite le preghiere dell'illustre poeta e di tutti noi che, sbigottiti, stiamo a guardare. Prof.ssa Anna D'Angelo |
Centro d'Arte Coreografica "Aglaia" Premio Artistico Letterario "Nicola Mirto" 2006 |
Le prime estrinseche e modeste considerazioni sull'epica lirica non possono che concentrarsi sull'effetto di ammirato stupore che in un lettore del 2006, disabituato e quindi basito, provoca il ritrovato gusto per la forma e la cura per il linguaggio, sempre utilizzato con eleganza, senza profittare della ricercatezza, con sobrietà nelle combinazioni.
Aggettivi a iosa per rendere pulsante il ritmo e comunicare angoscia; trascelti i verbi per riflettere condizioni talora inesprimibili.L'uso sapiente e costante delle liquide, lungo tutto il componimento, scioglie la lettura e aiuta in musicalità il verso. Di contro si annoda nello sconforto l'animo del lettore a cui vengono inviate scene, create con abilità, oserei dire pittorico-espressionistiche.La tavolozza di Munch presta i propri sofferti colori al verso.La lirica si chiude con le domande che accompagnano l'uomo quotidianamente quando apre gli occhi e si affaccia ad un nuovo giorno di vita. Come si evince dal testo, lo tsunami ribalta l'ordine consueto in cui la natura è sentita amica e manifesta l'orrore in cui precipita l'uomo quando non può, come il cantico di S. Francesco ci insegna, riconoscere la presenza di Dio negli elementi della Natura, ed ecco che "divampa il dolore", "il cuore singulta", "gronda la pena" ed "urlano gli occhi". L'alluvione è un tema che stimola anche i più grandi poeti come Eugenio Montale, il quale dedicò uno dei componimenti di "Xenia II" all'alluvione disastroso di Firenze del 1966. Egli descrive la catastrofica calamità come un sommergimento di oggetti cari nella cantina che invano lottano il fango. Chiara metafora di un animo stravolto da eventi incontrollabili che siffatti amplificano la solitudine e l' impotenza dell'uomo.Ciò mi sembra mirabilmente descritto in una delle strofe del trittico: "E urlano gli occhi /misericordia e amore /per le care creature / e le anime insepolte". Montale recupera il senso nei rapporti umani, nel ricordo del valore-coraggio trasmessogli dalla moglie, immensa fiducia in un legame unico ed irripetibile. Il nostro poeta invece allude a qualcosa di più della fiducia che quasi per definizione sembra possa essere tradita, egli si rifà ad una grande fede, porto a cui, sembra suggerire la penultima strofa, l'uomo dovrebbe far ritorno. Poetessa Edvige Galbo |
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"TRITTICO DELLE MORTI BIANCHE" |
Centro d'Arte Coreografica "Aglaia" Premio Artistico Letterario "Nicola Mirto" 2009 |
Solidarietà, unita all'indignazione per le colpe delle istituzioni.
(Dott. Gregorio Napoli) |