Amebeo per Euridice
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Recensione di Pasquale Matrone |
Vito Sorrenti AMEBEO PER EURIDICE A.G.A.R. Editrice, Reggio Calabria, 2009 |
Vito Sorrenti è un poeta abituato a scavare dentro di sé, a indagare su ogni frammento del suo vissuto, a cercare risposte convincenti e serenatrici agli interrogativi e ai dubbi che lo attraversano come lame sottili e taglienti. Ne dà conferma in Amebeo per Euridice, la sua nuova e coinvolgente raccolta di versi. Il pallido sole autunnale lo inquieta mentre, solitario, vaga fra le piante sospinto dal vento; la somma degli anni già trascorsi comincia a pesargli nella mente e nell'anima: la sua ricerca non ha ancora ot-tenuto risposte convincenti. Novello Orfeo, creatura fatta di carne e di sangue, inutilmente ha cercato di trattenere tra le braccia di uomo votato alla morte lei, creatura impregnata di spirito e d'aria, destinata ad essere immortale. Il canto gli ha dato solo l'illusione della conquista, gli ha fatto credere di poter varcare la fatale soglia, raggiungere la terra dalla quale mai nessuno ha fatto ritorno... La poesia gli ha dato molto; lo ha condotto per strade inebrianti, a pochi passi da quella trascendenza verso cui da sempre è in cammino... Ma Dio è irraggiungibile, si nega ai mezzi umani, sovrasta la ragione e le dà scacco, indifferente, forse; o, forse, fonte di una misericordia e di una pietà incomprensibili per coloro che, del suo smisurato progetto, riescono a cogliere solo qualche sparuto frammento. Sorrenti conosce il dolore, è abituato a viverci accanto, ad ascoltarne l'eco. Lo conosce in virtù della sua professione, ma anche e soprattutto perché ha il raro privilegio di possedere doti non comuni di sensibilità e di umanità. Ed è proprio per questo che, immergendosi con empatia dentro le brutture e le contraddizioni della società, riesce a dare voce e musica agli orrori e alle sofferenze che impregnano di lacrime e di sangue i singoli e la storia. La guerra, infatti, atroce e funesta è rimasta profondamente radicata nella natura bestiale degli uomini. Ancora oggi i poveri, i disoccupati, gli emarginati hanno fame, hanno sete; sono proprio loro, gli esclusi senza voce, che danno la misura della miseria morale in cui l'umanità intera rischia di affogare... Il poeta, con amarezza, prende atto di essere inadeguato ad affrontare la realtà solo con la parola: anche perché l'autunno incalza; e, proprio alle soglie della notte, improvvisa, una dolorosa certezza gli raggela il petto: egli è soltanto un povero viaggiatore senza sosta su un binario morto.
Pasquale Matrone
Pasquale Matrone
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Recensione di Susanna Pelizza |
Metafisica esistenziale nell'essenzialità della parola: Amebeo per Euridice" ( di Vito Sorrenti )
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Amebeo per Euridice edito da A.G.A.R. con un'interessante nota dell'editore Paolo Borruto e con la pregevole copertina su un quadro del Tintoretto "la contesa tra le Muse e le Pieridi" (1544-45), è una silloge che si caratterizza per l'alto valore espressivo che punta sull'uomo a ricercare le sue radici al di là delle visioni puramente metaforiche con cui s'intende sempre sottolineare il discorso poetico di questa singolarissima personalità. L'autore evita gli stilemi barocchi e neoclassici per un'evocazione drammatica ed espressiva, nella consapevolezza, però, che l'essenzialità del poetare non può esaurire del tutto quel mistero insito nella natura circostante e di fronte al quale l'uomo è condannato ad essere solo, "Il mistero e la risposta stanno dietro la parola, stanno nel silenzio che è parola e nella parola che è allo stesso tempo silenzio, ma la parola non può esaurire tutto il dramma interiore del poeta: come Ungaretti la parola ci riconduce nella sua oscura origine, al mistero lasciando tutto inconoscibile, la risposta dunque sta nel cuore di ogni uomo, sta nei volti senza più storia, in quei cadaveri senza memoria, solo nella riflessione di tanta tragedia umana, può nascere una nuova speranza di vita e di pace vera" ( nota introduttiva del prof. Adriano Angelo Gennai pag.7 op. cit.) Apparentemente orfica, proprio in virtù - di quel mistero celato dalla parola, in realtà la lirica cerca un colloquio con il lettore attraverso la riflessione sul sentimento dell'agire umano "Appeso al filo dell'umana ragnatela vedo un lucore anche nel buio più nero / (...) E una primavera di spine mi accima in cuore / per Caino che uccide, per Abele che muore "(da "Appeso al filo" pag. 23 op. cit.). Rime interne sembrano dare risvolti di alta sonorità creando parallelismi tra piani discordanti, come qui dove la rima baciata conclude sentenziosamente l'amara osservazione sull'esistenza. Alla sfiducia nell'agire si contrappone il controcanto di Orfeo: il destino del poeta e quello di testimoniare, il suo impegno è un impegno civile di osservazione della cruda realtà alla quale ogni essere non può sottrarsi, attraverso una presa di coscienza che incita e soprattutto sprona all'azione: "L'inferno è in ogni angolo del mondo / senza luce, senza pace, senza orizzonti / L'inferno è ovunque la mano dell'uomo / raccoglie brandelli di carne umana" (da "L'inferno" pag. 25 op. cit.). L'espressionismo, dato dall'effetto iterativo e dalla sua martellante ripercussione sonora, colpisce il lettore per l'acutezza delle immagini, spingendolo ad una inevitabile riflessione sulle conseguenze di ogni gesto umano. Diciamo subito che dietro a questo concetto non c'è la filosofia negativa esistenzialista (si pensi a Sartre ad esempio) di un possibile naufragio dell'essere, bensì la consapevolezza che l'uomo può, attraverso la propria autocoscienza, redimersi. "L'efficace cadenza della parola" (come ricorda Enzo Concardi nella postfazione pag.105) nel denunciare i mali che non stanno in un "cosmico e universale dolore" come in Leopardi, ma negli effetti brutali di atti inspiegabili, evita proprio quelle "brachilogie, quell'eccesso di denominazione, lo scambio tra chi percepisce e chi è percepito" che una nota personalità della critica, Antonietta Grignami aveva visto come sintomi del post-moderno ( "le brachilogie, l'eccesso di denominazione, lo scambio tra chi percepisce e chi è percepito (...) sono sintomi di crisi e di una caduta del molo del poeta" A. Grignami "La costanza della ragione" interlinea, 2002) Si punta al cuore, al cuore dell'uomo, nella ricerca di un valore al di là della negatività storica, nel testimoniare, quindi, una " poetica della verità" contro la retorica e la finzione, in una realtà espressiva che incita e spinge alla riflessione "...E ancora / il cuore col suo ansioso palpitare / scandirà l'incessante fluire delle ore. / E a sera ringrazierà il Signore / se non dovrà ripiegare in silenzio / brandelli di aurore intrisi di sangue./ innocente, impotente, ignaro / (da "E ancora il cuore" pag. 28 op. cit.) Evidenti sono, nei numerosi epigrammi presenti in questo libro, i richiami ad Ungaretti e a Leopardi come in "Mi abbandono in un moto di pena: / non siamo che gocce di brina sospese al ramo dell'umana esistenza" "Ascolta o Natura, la mia preghiera / frena la tua furia, non infierire: / già grande è la nostra miseria" (pag. 31 op. cit.). Nel dramma di una visione sempre presente, la parola crea delle possibili aperture metaforiche nelle quali è facile guardare quell'attimo di fede come valore esistenziale. E' la religiosità della poesia, intesa nel suo rapporto profondo con il mistero, con la bellezza, con la rilevazione: nella parola viene colta l'energia spirituale capace di trasformare il nostro modo di vedere le cose agendo a partire dall'intimo del sentimento stesso "Speranza che della fede sei gemella" verso che ci riporta indietro al Dolce Stilnovo a Dante dove la certezza non trae consistenza da una razionalità filosofica, ma da uno slancio poetico di amore universale. "Dio / luce dell'esistenza / nutrimento dell'anima/ donami quotidiana sofferenza / Essenza di trasmutazione / della coscienza / strumento di trascendenza" ( Da" Preghiera" pag. 48 op. cit.) Si avverte un'ansia lirica, un movimento di fondo della frase, che non vuole solo rappresentare ma esprimere: manifesta quindi, Amebeo per Euridice, una rinascita culturale, prima ancora che poetica, che ha un importante significato in quest'epoca di contorsionismi post-moderni e di vuoti contenutistici.
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Recensione di Carmelo Ciccia |
Vito Sorrenti Amebeo per Euridice" di Carmelo Ciccia
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Questo poema o silloge poetica è un coacervo di cuore, mente e arte: il poeta presenta e lamenta varie violazioni dei diritti umani, dei quali esige dalla comunità internazionale il rigoroso rispetto. Il poeta ha scelto la forma dell'amebeo, componimento usato dai classici nel quale s'alternano due o più voci, qui con-fluendo anche in una corale, ma lo ha inframmezzato di normali liriche, che meglio esprimono sentimento e musicalità: infatti gioco-forza l'amebeo — intriso com'è di narrazioni, asseverazioni, assiomi, domande retoriche, condanne, preghiere, implorazioni ed esclamazioni — spesso si rivela prosastico. Eppure questo libro del Sorrenti è d'altissima valenza umana, morale e sociale, prima che poetica, e non per nulla ha ricevuto dei significati riconoscimenti, anche per singoli componimenti in esso inseriti: come nel caso di "Corale per i luoghi dolenti", che nel 2003 ottenne il 2° posto al. Premio "Città di Mestre" e un lusinghiero giudizio del presidente della giuria, Bruno Rosada. Esso è sommamente apprezzabile per il bene che si propone di fare al mondo, nell'auspicio che tutte le richieste vengano accolte dai responsabili. Il poeta considera con profonda indignazione una serie di lutti che hanno funestato l'umanità per colpa di certi uomini: astio fra ebrei e palestinesi, deportazioni e campi di sterminio, strage di Racak, missioni pseudo-umanitarie con bombardamenti a tappeto, uccisioni a Kabul, distruzione delle Torri Gemelle di New York, strage dei bambini di Beslan; ma ci sono anche gli abbandoni dei vecchi, le violazioni dell'infanzia sfruttata e afflitta, le violenze contro le donne, lo sfruttamento delle prostitute lungo i viali, la fame e la miseria nei paesi africani, lo spaccio delle droghe, gl'incidenti stradali provocati dalle trasgressioni, il dissesto ambientale. Egli nota che "l'inferno è in ogni angolo di mondo" (p. 25), "Ogni luogo è sconvolto / [...] / Ogni ora è funesta / / Ogni luce s'oscura" (p. 26), "I poveri, i disoccupati, gli emarginati / hanno farne [...] / sonò intristiti / [...] / sono gli esclusi senza voce" (p. 27), "il rombo del rambo / rimbomba sinistro", per la quàl cosa oggi si vive "verso l'inevitabile meta" (p. 35), che più avanti diventa una delle "mete / di effimera luce" (pp. 37 e 44), mentre noi siamo "viandanti di passaggio" (p. 37). Siccome "la linfa s'aggruma / in grumi di brace", il poeta si chiede "dov'è la sacralità della vita?" e conclude: "Nessuna ragione, se vuole essere umana / può edificare sul sangue dell'uomo" (p. 43). E poi egli rivolge una preghiera a "Dio / Luce dell'esistenza / Nutrimento dell'anima / Domani quotidiana sofferenza / Essenza di trasmutazione / Della coscienza / Strumento di trascendenza." (p. 48); mentre rileva che accanto alla gloria degli eroi bisogna cantare in poesia i non eroi che subiscono le "guerre giuste" (p. 50). Perciò il Sorrenti canta "l'angoscia, lo sgomento, il lutto / di chi ha visto andare in pezzi / il suo pezzo di cielo" (p. 51); e, quando ad una madre si presenta un agente comunicante la morte d'un figlio, il poeta le dice: "il tuo sorriso di madre / sarà spento per sempre" (p. 52) a causa di "lacerti di giovinezza / disseminati sull'asfalto" (p. 53). Egli pena ancora "per la testa mozzata in presa diretta" e osserva un'infinità di "ferite [...] ferite [...] ferite " (p. 57), mentre dichiara che "Mai vibreranno le corde della mia lira / per incielare statisti imbonitori / al servizio degli affari e del profitto" (p. 71). E perciò le parole più ricorrenti nel libro sono: astio, lutto, stirpe e razza (eletta o funesta), uncino e uncinare, grumo e aggrumare, rostro. In apertura d'ogni amebeo il poeta ha posto un epigramma, suo o altrui; e a volte nei testi si trovano echi della Bibbia, di Simonide, Dante, Montale, Quasimodo... Ma il pregio di questo lavoro consiste particolarmente nella musicalità che spesso si percepisce, dovuta alla struttura dei versi, alle numerose rime e assonanze anche interne, ad allitterazioni, anafore, vocaboli arcaici e altri ritrovati tecnici, che fanno del Sorrenti un poeta provetto. Il volume è arricchito dalla prefazione di Mauro Decastelli, dalla postfazione d'Antonietta Benagiano e da testimonianze e giudizi critici d'altri scrittori. Dal punto di vista grafico-editoriale esso si presenta elegante e ben curato, corredato com'è di belle illustrazioni a colori dei pittori Tintoretto, Caravaggio, Carracci, David, Moreau, Rubens e Van Dyck, e di quelle in bianconero degli scultori Oliveri, Anonimo e Grillos.
Carmelo Ciccia
Carmelo Ciccia