Vagando con la mente
(2002)
Prefazione di Neuro Bonifazi
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Ma è il dolore che prevale e che nella fantasia disperata del poeta si personalizza, generando "profondo sgomento che perdura nel tempo". Esso vaga dovunque per il mondo e lo incontriamo sulla nostra via e ci affianca nel nostro breve o lungo cammino, "come fosse un crudele maestro / che non nutre per noi nessun affetto / nessun amore / un maestro che parla duro /.../ per farci capire quanto amaro fiele / dobbiamo trangugiare /.../ Io l'ho incontrato abbastanza presto / questo compagno di viaggio indesiderato e malvagio". È il dolore suo e di tutti gli uomini e in ogni tempo, "il dolore di sempre", l'atroce sofferenza, la muta denuncia, lo strazio procurato dalle ingiustizie e quello che deriva dal nostro naturale destino: "Il dolore oscilla nell'aria / come onde sonore / e io non ho il cuore murato / in una campana di vetro: / il mio cuore appeso / all'albero della vita / partecipe oscilla / ad ogni stormir di foglia". E anche la vita in sé, di conseguenza, appare "come un niente galleggiante sulle onde del fato / che, col suo moto insensato, conduce ogni cosa / inesorabilmente / verso la propria meta", ossia la fine, la morte. E ciò senza un senso qualunque, "senza sapere / senza capire perché" si muore, e si muore anche giovani, anche bambini... Bisogna dunque rassegnarsi di fronte alla "selvaggia ingordigia" che aleggia sul cuore dell'Occidente e l'indurisce e lo rende incapace di sentire il grido di dolore e il lutto dell'infanzia "senza voce / e senza speranza ?... Bisogna solo piangere e imprecare e lasciarsi inutilmente prendere dall'ira, di fronte ai "derelitti alla deriva nel mare della miseria" o udendo "atroci lamenti / fragori sinistri / e rantoli di morte"?... No, nessuna rassegnazione! Vivere bisogna, comunque!...E c'è anche il momento che il poeta lascia per un po' la sferza della denuncia e dell'indignazione, per non affondare nel nulla e per rientrare dentro di sé e ascoltare le voci risananti della natura, seguire i dolci ricordi, aprire gli occhi su visioni di spe-ranza, sia pure con una punta di sorridente e pessimistica ironia. Ecco allora la bellissima poesia intitolata Amari accordi, dove il cuore del poeta vibra amaramente e pur dolcemente con la natura e le stagioni, in una sorta di non più sofferta, ma musicale e immaginosa, malinconia: "Amari accordi accordo / stasera che m'accoro / in remote derive. / Amore di gioia / imposseduta / in me dispera e muore. / Primavera è un fiore / da tempo appassito. / L'estate una rondine / migrata. E quest'autunno / che cola dense nebbie / sulla mia anima arata, / è un inverno precoce". La primavera, fra mura di vetro e conglomerato cementizio, tuttavia "s'infessura delicata", e anche se non ha la voce delle fiumare natie né il canto degli usignuoli, è triste e bella come "pallida fanciulla dagli occhi ciechi". E appare in un bagliore anche la visione desiderosa di una vita al di là della morte, oppure il ricordo unisce il poeta come "esile bimbo / dagli occhi ridenti" di una volta a un ormai maturo "assiolo / dalle inutili ali" che canta il suo dolore; e se si sente come albero dalle radici lacerate, tuttavia dalle sue "piaghe d'uomo" dirama (un verbo di speranza usato più volte) altri verdi germogli di vita risanata.... E forse l'uomo, divenuto artefice del suo destino, potrà andare incontro al domani e fare della luna il suo giardino, anche se rimarrà comunque e sempre "un esperimento di sopravvivenza / disperso nell'infinita vastità dello spazio / nei sovrumani silenzi del tempo" (Uomo). Un disperato riso quasi leopardiano percorre qua e là alcuni anche lievi e gustosi versi, mai comunque liberati dalla funesta visione dello strazio e del sangue, e alternati ai più angosciosi momenti e al loro pianto. Un riso o sorriso ironico, amaro e satirico, che accompagna fino alla fine l'esplosione della pena del poeta per la miseria, l'odio, l'infanzia dolente, la desolazione, il sangue, e che conclude la raccolta proponendo ancora una volta in primo piano il "cuore" del poeta, il suo sentimento più profondo, nel testo di Diario tragico: "Questo cuore in pena / che freme al ramo / dell'umana sofferenza / e attende l'avvento / d'una nuova risurrezione: / attende che il manipolatore di geni / il mago dell'inseminazione / il funambolo della clonazione / estirpi dal petto dell'uomo / le infauste aberrazioni / che come malsane radici / alimentano la sua natura di bestia feroce / la più feroce fra quante la natura ha dato alla luce". Ha dichiarato che se il poeta non infrange con le sue parole gli steccati e le barriere che gli uomini pongono tra di loro sulla terra, e se non è capace di fare in modo che la sua stessa poesia sia barriera all'odio e alla truce barbarie e non lenisca il dolore e non riduca la miseria e non induca all'amore, allora è meglio che resti in silenzio: ebbene, bisogna dire, concludendo, che Vito Sorrenti, poeta vero e appassionato, sincero fin nel profondo del cuore, e giustamente colpito e commosso, anche e soprattutto per le sue radici umili e sofferte, dalla visione tragica del nostro mondo, queste parole ha saputo dirle, assorbendo - come precisa lui stesso nel breve testo di Immerso - l'essenza di quella oscura pena che gli macera il cuore e trasformandola in canto.