I derelitti
(2015)
Postfazione di Angelo Manitta
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«[...] O Celesti, ancora fragori sinistri, rantoli di morte / e gemiti di lutto sui luoghi del profitto?». Se quindi da una parte della bilancia viene posto il male dall'altra viene posta l'aspirazione verso il bene, il positivo, l'aspetto buono delle cose. Non per caso l'intera silloge si apre con una ricerca della libertà, Trittico delle libertà. Pur nella presenza dei maggiori mali del mondo, quel che maggiormente conta è lo squarciare «il sipario che cela l'orrore», è il dissipare «questo gelo che ci raggela il cuore», anche se si ha la certezza che il dolore sia l'aspetto fondamentale della vita umana, come afferma Harlan Ellison: «Il dolore è la cosa più importante nell'universo. Più importante della sopravvivenza, più grande dell'amore, maggiore anche rispetto alla bellezza. Perché senza dolore, non ci può essere nessun piacere. Senza tristezza, non ci può essere felicità. Senza miseria non ci può essere bellezza. E senza que-ste tre cose, la vita è senza fine, senza speranza, condannata e dannata». Nella totalità del male del mondo, infatti, anche in Sorrenti vi sono quegli sprazzi di luce, come si legge nella lirica Amarezza m'attrista, quasi con ossimorica percezione del rapporto male-bene: «E allietavano la vista con lo scintillio / discorde delle verdi chiome / e l'ebbrezza estrema dei fulgidi virgulti / carezzati dalle brezze. Ed era dolce / osservare dall'alto il verde tumulto / e la tacita lotta per la conquista della luce». Il dolore quindi e la sofferenza appaiono quali maestri dell'uomo, quale potente mezzo di conoscenza, ma soprattutto di coscienza. Essi, come dice Hermann Hesse, esistono per farci maturare e passare da quello stato adolescenziale di incoscienza alla saggezza dell'età matura. Se nella lirica di Vito Sorrenti il lemma felicità non ricorre neppure una volta, se il lemma gioia ricorre una sola volta, se il lemma bellezza ricorre due volte, d'altra parte il lemma morte ricorre 24 volte, in parallelo con il lemma vita che ricorre 18 volte e il lemma luce ben 25 volte, contro il lemma buio che vi appare solo 5 volte. Ecco dove sta, a mio avviso, la corretta lettura della poesia di Vito Sorrenti.
Il suo io si nasconde dietro un noi, che evidenzia il male del mondo e la negatività con il fine ultimo della luce, quindi della positività. La ricerca della luce è ricerca di vita e di serenità. Anche questa volta non a caso l'intera silloge si chiude con una invocazione alla pace, con espressioni davvero risolutive: «O mia bianca colomba / finalmente sei giunta / su questo lembo di terra / devastato dal ferro e dal fuoco» E...] O scintilla di Luce / tanto preziosa, tanto invocata, tanto attesa / quanto tempo hai atteso / per giungere fra queste case / disseminate di croci» [.. .] O figlia della Giustizia / riversa la tua luce / sul cuore uncinato». L'intera lirica appare emblematica e conclusiva dell'intero pensiero poetico di Vito Sorrenti, innanzitutto per la disposizione dei versi che ricalcano un ossimorico contrasto tra la prima parte dell'emistichio, di solito positivo, e la seconda parte che evidenzia il negativo, quasi a mostrare il verso e il retro di una stessa medaglia, la luce e la tenebra, il bene e il male, in una perenne lotta tra due entità opposte che rendono la vita umana elemento essenziale dell'universo nel suo multiforme percorso. Il viaggio si è concluso, questo nostos, come dice anche il titolo di una lirica, non è fatto solo di scoperte, ma anche di domande, anche se, come conclude l'autore, «le mie domande restano senza risposta».
Angelo Manitta
Angelo Manitta